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NON è mai passato inosservato. Lo vedevi giocare e capivi che c’erano talento, fantasia, imprevedibilità, velocità di pensiero, ma anche astuzia e furbizia. Tutto concentrato in quel magico sinistro, con il quale per anni ha infiammato le piazze più importanti del calcio dilettantistico calabrese. Ancora oggi, appena parli di Costantino Arlotta, i ricordi si sprecano. Le emozioni non svaniscono. Sembra di vederlo, lì nel mezzo, a servire un assist prezioso per i compagni (chi ha giocato vicino a lui ne ha sempre tratto grande beneficio), a conquistarsi una punizione dal limite, a segnare un gol dei suoi. Chi doveva marcarlo aveva due alternative: o lo anticipava, cosa che capitava raramente, oppure lo doveva riempire di botte per fermarlo.

Ha fatto parte di un altro calcio, fine anni ottanta e poi anni novanta. Avrebbe fatto bene anche oggi. Ha fatto divertire e si è anche divertito. Ha lasciato un segno indelebile, realizzando gol da urlo ed è un peccato che non ci siano dei video a immortalarne le gesta. C’è gente che oggi, con una prodezza, campa di rendita per mesi, dopo averla mostrata a più riprese sui social. Di Costantino Arlotta, invece, resta poco, magari qualche ritaglio di giornale ormai ingiallito, però dietro c’è un vissuto tutto da raccontare e da rivivere proprio nelle sue parole.

Smessi i panni da calciatore, si è dedicato ad altro, ma uno come lui rimane nella schiera dei campionissimi, di quelli che hanno lasciato emozioni e ricordi. Poteva fare di più. Ne aveva tutti i mezzi. Doveva fare di più. Ma il “genio” a volte è rimasto nella lampada. Quando, però, quel genio è uscito fuori, ci si è divertiti sul serio. Emozioni, sogni e desideri. Faceva correre il pallone: numero 10 sulle spalle, che spettacolo!  Averlo visto giocare è stata una fortuna per molti. Ed è un piacere ritrovarlo e farci raccontare la sua storia. A distanza di tempo, i brividi rimangono.

La scheda

Costantino Arlotta è nato a Marano Principato il 9 maggio del 1967. Ha iniziato a giocare al calcio in una società cosentina di puro Settore giovanile (la Gi.Fra), per poi passare alla Morrone e quindi al Cosenza, sempre in ambito giovanile. Fantasista con il vizio del gol, nel corso della sua attività calcistica ha indossato le maglie di diverse squadre calabresi e ovunque ha lasciato il segno: Morrone, Crotone, Palmese, Rende, Paolana, Amantea, Silana, San Calogero, Capo Vaticano, Acri, Rosarnese, Sambiase e Cariatese. Una volta appese le scarpe al chiodo è uscito dal mondo del calcio. Con la moglie Sabina gestisce un’azienda che distribuisce prodotti di elettronica di consumo e telefonia sia fissa che cellulare. Ha un figlio di 13 anni (Giovanni) ed una di 9 (Lucia).

I primi calci e i primi maestri

«Ho cominciato nella Gi.Fra, che sta per Giovani Francescani, una squadra di Cosenza che allora faceva solo il Settore giovanile. Il mister Pasquale Placido è stato il mio primo maestro. Per la mia crescita penso siano stati importante dapprima Adiberto De Maddis,  allenatore nei ragazzi della Morrone, che fu colui il quale mi cambiò di ruolo, da attaccante a playmaker davanti alla difesa, e poi sicuramente Franco Gagliardi, che ho avuto nella Primavera del Cosenza. Fu lui a spostarmi venti metri più avanti, praticamente a ridosso delle punte. Vedo quindi in loro due le persone che hanno dato una impronta importante nella mia formazione calcistica».

Mirabelli, il San Calogero e la… Sicilia!

«Ci conoscevamo da tempo ma il rapporto di lavoro ebbe inizio l’anno di San Calogero. Subito dopo la stagione di San Giovanni in Fiore, mi chiamò proponendomi un contratto importante con questa squadra. Io subito gli dissi che non mi sarei spostato in Sicilia, pensando che San Calogero fosse al di là dello Stretto! Lui di rimando: “Ma quale Sicilia? Si trova in provincia di Vibo”! Mi sembrava strano… tutti quei soldi! Alla fine mi convinse ed iniziai un percorso lavorativo con lui che durò 5/6 anni. A San Calogero annata straordinaria, Eravamo troppo forti. Per me lui è nato direttore sportivo: capisce tanto di calcio e di calciatori soprattutto. Riesce a vedere molto prima il valore di un giocatore ecco perché arriva sempre in anticipo. A parte tutto, per me rimane l’amico di sempre e non “Mirabelli del Milan” come oggi tutti lo chiamano».

Arlotta calciatore

Che calciatore è stato Costantino Arlotta? Ecco la sua risposta: «Un calciatore strano, atipico, uno di quelli che la natura gli ha dato delle grandi doti ma lui non ci ha messo niente di suo affinché queste doti potessero esplodere in maniera consistente. Praticamente si è sempre accontentato di quello che già aveva di “serie”. Di optional non ha mai aggiunto niente».

L’aiuto di Stumpo e le insistenze di Bitonti

Ha vinto e segnato tanto in carriera, eppure Costantino Arlotta la soddisfazione più bella la lega ad un episodio particolare, che riguarda la figura del compianto Antonio Bitonti, con un ruolo importante avuto da Carlo Stumpo. Tutto ha origine da un momento negativo e parte il racconto: «Dopo l’esperienza di Amantea, avevo deciso di non giocare più a calcio. Avevo 27 anni – ci dice  Arlotta – ero tesserato con il club blucerchiato e sono stato un anno senza giocare. Un giorno Carlo Stumpo di Acri mi chiese come mai non giocassi più. Gli risposi che non avevo più voglia e che se anche mi fosse tornata, l’allora presidente dell’Amantea si era giurato che non mi avrebbe più fatto giocare». Questo perché all’epoca c’era ancora la famosa lista di trasferimento che era nelle mani dei presidenti…

«Esattamente. Allora Stumpo si offrì di aiutarmi, dicendomi: “Se ti faccio svincolare mi regali un telefono?”, perché lui asseriva che con la lista di trasferimento di mia proprietà avrei guadagnato tanti soldi (cosa che poi avvenne, in effetti). Gli risposi “Fai tu”. Dopo un mese mi arrivò una raccomandata dove mi veniva notificato l’elenco dei calciatori svincolati dei quali facevo parte anche io. Essendo svincolato pensai che adesso avrei potuto davvero guadagnare tanto, ma non avevo fatto i conti  con il fatto che ero stato fermo un anno. Tutti o quasi facevano i sostenuti e mi dicevano: “Sei rimasto fermo un anno… già non avevi voglia prima…”. Insomma: non mi hanno voluto nemmeno in Prima categoria.

E poi? «All’improvviso il direttore sportivo della Silana, che allora era in Serie D, Antonio Bitonti, padre del terzino Giovanni, iniziò a chiamarmi giorno e notte. Praticamente mi pregò per andare a giocare a San Giovanni in Fiore, offrendomi un ingaggio di tutto rispetto per uno che era fermo da quasi un anno e mezzo. È da premettere che lui ha sempre avuto un debole per me: mi chiamava sistematicamente ogni anno per portarmi alla Silana. Dopo tante insistenze e numerose chiamate, decisi di andare ma ad un patto: ossia che mi avrebbero dato almeno un mese di tempo per allenarmi dato che il campionato iniziava già la domenica dopo. Lui acconsentì e mi disse: “La cosa più importante è che firmi per noi”. E così avvenne, anche se con diverse titubanze da parte mia: dopo quasi due anni di stop, sembrava un azzardo ripartire dalla  D. Ma ho voluto rischiare e rimettermi di nuovo in gioco».

Con la Silana per tornare a colpire

Stiamo parlando sempre del ritorno in campo, con la Silana. «Alla prima di campionato si gioca a Barcellona Pozzo di Gotto contro la Nuova Igea ed io, come da accordi, non parto con la squadra. La domenica successiva c’è la prima in casa contro l’Orlandina. Il venerdì precedente la gara vengo convocato “giusto per riassaporare l’odore dell’erba”, mi viene detto, ma aggiungono: “Tranquillo, non ti facciamo giocare”. Arriviamo a domenica mattina: mi prende da parte l’allenatore Ghidini e mi dice: “Avrei pensato di farti fare almeno il primo tempo: sai, con te in campo è tutto diverso”. Cerca di convincermi. Gli faccio notare che gli accordi erano diversi e che avrei dovuto giocare dopo un mese, non dopo una settimana. Allo stesso tempo, da professionista, gli dico che ero comunque pronto a scendere in campo. Tra mille paure inizio la partita, ma al primo pallone tutto passa ed è al secondo che cambia l’andamento della gara e della mia “nuova” carriera. Calcio una punizione vicino quasi alla bandierina del corner, con il pallone che va a finire sotto l’incrocio dei pali: 1-0 per noi, gol spettacolare. Gioia immensa. Passano 20 minuti, tiro da fuori area e faccio il 2-0. L’apoteosi. Alla fine vinciamo per 2-1. Da quella partita in poi un crescendo: ho fatto a San Giovanni in Fiore uno dei campionati più belli della mia carriera. Ecco: questa è stata la più grande soddisfazione della mia vita calcistica. Sarò sempre grato ad Antonio Bitonti che ora non c’è più e io ogni anno vado a San Giovanni ad onorarlo al memorial che il figlio organizza nel suo ricordo».

Il gol al San Paolo

Fra le reti da ricordare, Costantino Arlotta ne indica due: «Quella siglata all’Orlandina che ho appena raccontato, con la maglia della Silana, e un’altra, bellissima, su punizione al San Paolo di Napoli contro il Napoli ai tempi della Primavera del Cosenza».

Varrà e Mazzacua tecnici di valore e di valori

Quando gli chiediamo chi sono gli allenatori che ricorda con particolare piacere, risponde così: «Sicuramente Varrà, per la sua grande personalità e conoscenza del calcio. Un uomo particolare ma sempre dalla parte dei suoi calciatori. Uno leale e sincero, che ha sempre detto in faccia tutto a tutti. E poi Mazzacua, un allenatore capace come pochi di leggere le partite, oltre che un allenatore che non portava mai rancore verso i giocatori. Ci si poteva mandare a quel paese, anche con toni forti, ma finita la partita si andava a mangiare e a bere insieme».

Il legame con i compagni di squadra

«Ho avuto sempre dei rapporti speciali con tutti. Gli ho voluto e mi hanno voluto bene. Non abbiamo mai messo sulla bilancia quanto guadagnava uno o l’altro. Ci siamo sempre rispettati e aiutati. Sicuramente c’è una parte nel mio cuore dove sono racchiusi dei nomi, ma la voglio tenere per me. Tutti i miei compagni di squadra avuti nel corso degli anni rappresentano un patrimonio inestimabile della mia vita, ai quali mi sento di dire un “grazie” sincero».

Fuori dal calcio

Una volta smessi i panni del giocatore, ha deciso di non rimanere nel calcio con un altro ruolo «perché onestamente non mi è mai piaciuto tanto questo mondo. Un mondo fatto a volte di compromessi e di presidenti che, mettendo quatto soldi, si sentivano in dovere di criticare le scelte degli allenatori o di sparlare dei giocatori. Quindi un mondo che non collima con il mio modo di concepire la vita. Inoltre, avendo l’azienda, mi sono tirato fuori subito, ma senza alcun rancore. Anzi, mi fa sempre piacere vedermi con ex compagni e allenatori».

Il Marano e gli under

«Seguo il calcio dilettantistico da lontano. Sicuramente il lunedì mattina leggo il giornale e vado subito a vedere le mie ex squadre come se la passano: sono sempre stato tifoso delle formazioni nelle quali ho giocato. Ogni tanto vedo una partita ma niente di più. Ultimamente sto seguendo il Marano, la squadra del mio paese, che gioca in Prima categoria perché è allenata dal mio grande amico Ciccio De Rose anche lui ex San Calogero. Per quando riguarda gli under sono contrario: chi è bravo non ha bisogno di essere messo a giocare per forza. Chi è bravo gioca comunque e non voglio aggiungere altro. Per il resto lavoro e mi godo la famiglia, la mia gioia più grande».

Il bilancio finale

Soddisfatto della carriera o avresti potuto fare di più? «Penso di aver ottenuto in maniera direttamente proporzionale a quello che ho dato. Sicuramente con un altro approccio mentale chissà…. Rimane la consapevolezza di aver incontrato tante belle persone. E va bene così».

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