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Gli inquirenti nell’indagine Maestrale-Carthago ricostruiscono quando accaduto ad un matrimonio dove si tenne un vero e proprio summit del crimine vibonese

VIBO VALENTIA – Quel matrimonio, secondo gli inquirenti dell’Arma e della Dda di Catanzaro, sarebbe stata l’occasione per indire un summit – dato investigativamente rilevante – in cui è emersa l’egemonia della struttura di ’ndrangheta guidata da Peppone Accorinti che operava non solo nei territori storici (Zungri, Briatico e Cessaniti) ma adesso anche in quelli di Comparni di Mileto, Paravati di Mileto, e Filandari e gestita, in virtù della carcerazione del presunto capo, da Francesco Barbieri.

Nell’evento nunziale del 5 ottobre 2019, di un consigliere comunale di Cessaniti con una ragazza parente acquisita alla famiglia Mancuso (entrambi non indagati), presso una nota struttura ricettiva del comune di Ricadi, si evince che l’incontro tra Francesco Barbieri, lontano parente dello sposo, e Luigi Mancuso, boss indiscusso di Limbadi, sia avvenuto casualmente e che il primo abbia motivi di attrito nei confronti del secondo in ordine a controversie per denaro e che per tali ragioni il boss, in epoca antecedente al matrimonio, avrebbe invitato Barbieri a chiarire la situazione.

Invito che però non era stato accolto da quest’ultimo in quanto intimorito dalla caratura ndranghetistica di Mancuso. La situazione si sblocca nel momento in cui Barbieri riceve dal nipote Cristian Surace, l’invito, fattogli recapitare dal fratello Nino (Barbieri, ndr) di avvicinarsi a Mancuso che stava già colloquiando con quest’ultimo unitamente ad altre persone.

LUIGI MANCUSO “LA VOLPE SIBERIANA”

“La volpe siberiana”. Un appellativo utilizzato per rimarcare la riconosciuta astuzia nelle relazioni criminali. A darlo a Luigi Mancuso sono Francesco Barbieri e Fusca, dove il primo, che avrebbe assunto la guida della Locale di Zungri, non veda nel boss un onesto interlocutore. Il fatto, poi, che Mancuso sembri rifiutare gli oboli versati al suo cospetto dai sodali a seguito delle estorsioni, secondo gli investigatori, viene invece smentito dagli stessi affiliati che gli ricordano dei “regali” verso la sua persona.

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La forte diffidenza di Barbieri, che teme che il vertice del Crimine vibonese possa agire contro i suoi interessi, viene ritenuto “preludio di tensione fra le citate strutture della criminalità. Molti appaiono infatti gli episodi insoluti, ultimo tra i quali quello dell’uliveto del “cementificio” ai quali non basta la parola del boss per sotterrare l’ascia di guerra. L’unico elemento accomunante è la concreta paura per l’azione risolutoria della magistratura”.

Evitare dissidi per paura degli arresti

Secondo quanto monitorato dagli inquirenti, nel corso dell’incontro sarebbero emerse le disposizioni che Mancuso dà ai suoi subordinati affinché la ‘ndrangheta Vibonese adotti una unica politica espressione di un sistema unitario che possa, quanto più possibile, allontanare i riflettori dell’Autorità Giudiziaria.

Da parte sua, Barbieri avrebbe lasciato intendere al boss ed agli altri conversanti di trovarsi d’accordo con quanto disposto dal suo superiore gerarchico, riferendo che, qualora “non fossero adottate le giuste precauzioni e non vengano fatti i giusti chiarimenti, avrebbero fatto il “gioco” della Dda, riferendosi inequivocabilmente alle attività di indagine condotte dal pool della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro”.

Un commento che sarebbe stato “pienamente condiviso da Mancuso il quale aggiungeva che, qualora non si fossero ricomposti internamente e pacificamente i dissidi di volta in volta sorti fra le diverse strutture di `ndrangheta, si sarebbe lasciato spazio di manovra alla predetta compagine inquirente”. Ritenute, quindi, inequivocabili le parole del boss rivolte a Barbieri: “Comportati per bene e fai il bravo! Eh!? Facciamo tutti i bravi!”, e quelle che, facendo riferimento a dissidi fra sodali avrebbero chiamato in causa il procuratore capo Nicola Gratteri: “Potrebbero dare gusto a Nicola”.

Basso profilo. Ma in generale, tutti i presenti al summit, avrebbero concordato con Mancuso. Tutti si trovano nel mantenere un basso profilo, evitando gesti eclatanti al fine di non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e delle inevitabili conseguenze giudiziarie. E la riunione consolida, per gli inquirenti, la funzione di “capo dei capi” rappresentata al momento proprio dal Luigi Mancuso, il quale si ritaglia il “ruolo di “arbitro” delle controversie fra locali di ‘ndrangheta arrivando finanche ad ordinare la traduzione dei sodali “dissidenti” al suo cospetto per poterne giudicare la condotta. Allo stesso tempo, avrebbe introdotto un criterio di spartizione territoriale quale clausola di salvaguardia dalle tensioni fra ‘ndrine e locali confinanti, ammettendo poi una deroga al stesso solo sulla base di una sua specifica autorizzazione. Un gesto che avrebbe il duplice fine di aumentare il proprio ruolo di vertice ed al contempo quello di giudice in grado di “compensare” crediti e debiti delle varie compagini criminali da lui dipendenti. Ma la sua politica verrà aspramente criticata dai vertici della Locale di Zungri, che lo accuseranno di favorire la ‘ndrina di Tropea e, più in generale la Locale di Limbadi, a discapito della compagine criminale investigata.

Estorsioni: “Oggi pagano per non vederci”.

L’indiscussa autorità di Luigi Mancuso sarebbe espressa, tra le altre cose, mediante un’eventuale suo intervento diretto nel dirimere le controversie tra le varie Locali e ‘ndrine ma anche nel ritenere che le vittime di estorsioni abbiano cambiato atteggiamento e pertanto mette in guardia i sodali: “… omissis… l’interessante è, non dovete… non facciamo abusi nei confronti delle persone… …omissis… …perché noi ci dobbiamo far volere bene, perché… …omissis…. …una volta pagavano soldi e magone! Ora pagano soldi per non vederci… …omissis…”.

In buona sostanza il boss rileva un cambiamento nell’animus delle vittime delle loro estorsioni e, lasciandosi andare ad una riflessione, relativa alle dinamiche interne di quella struttura criminale, arriva ad asserire che la collettività degli “amministrati” in passato aderiva alle richieste estorsive sia per senso di lealtà nei confronti dell’associazione, ma anche e soprattutto per paura delle conseguenze. Oggi, in ragione di una differente consapevolezza sul fenomeno criminale da parte delle vittime, secondo Mancuso, le vittime delle richieste estorsive vedono diversamente tale fenomeno, comprendendone l’ingiustizia e rintracciandone Io scopo di allontanarli dalle loro proprietà. Una marginalizzazione della struttura criminale che allarma il boss di Limbadi dal momento che rappresenta una evidente scollatura tra affiliati e comunità, con una conseguente diminuzione del consenso sociale da sempre connaturato alle strutture di `ndrangheta sul territorio.

Il “volere bene alla gente”, riferito dal monitorato, ha lo scopo di dissimulare un’azione amichevole nei confronti dci consociati, idonea a celare l’ingiustizia delle condotte messe in atto nei confronti delle vittime e di tutta la comunità, nonché a riunire i consociati a far fronte ai comuni progetti della struttura criminale.

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