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Vietata l’esplosione di fuochi d’artificio in occasione delle festività pasquali

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VIBO VALENTIA – «Dopo due anni di lockdown questa decisione è la ciliegina sulla torta. Siamo rovinati». È un misto di rabbia e sconforto Nicola Franzé, titolare della ditta di fuochi d’artificio “Carello”, con sede a San Gregorio d’Ippona, che gestisce da anni col cognato. Con la fine dello stato di emergenza – e quindi la caduta di numerosi divieti – che ha colpito anche gli operatori del settore, sembrava che si potesse tornare alla normalità ma così non è stato.

Infatti sembrerebbe che il vescovo Attilio Nostro abbia deciso di vietare l’utilizzo di materiale pirotecnico in occasione delle festività pasquali. Una disposizione comunicata a tutti i parroci della Diocesi che, a loro volta, l’hanno veicolata alle varie Confraternite fino a raggiungere gli imprenditori del ramo. La motivazione risiederebbe nella volontà di non turbare la popolazione ucraina scappata dalla guerra e arrivata nel Vibonese. Un segno di rispetto, insomma, verso i profughi che provengono da uno scenario traumatico segnato dallo scoppio di bombe e violenze inaudite.

Tale decisione è stata quindi duramente criticata dall’imprenditore Franzé che nelle scorse settimane – certo che la fine dello stato di emergenza avrebbe riportato uno stato di normalità anche nel settore – ha speso qualcosa come 10mila euro di merce che avrebbe dovuto impiegare in questi giorni in cui numerose sono le celebrazioni che culminano la domenica di Pasqua con la tradizionale “Affrontata”. Nulla di tutto ciò, dunque.

Il vescovo Attilio Nostro

E adesso il titolare della ditta si ritrova «in una situazione molto difficile. Abbiamo già pagato la merce che resterà inutilizzata – rileva – per diverso tempo anche perché le feste patronali, e non solo quelle, si svolgono prevalentemente nei mesi estivi. E intanto ci ritroviamo con 10mila euro in meno, il che, per un’attività che ha sofferto duramente, come tante altre del settore, la durissima crisi dovuta al lockdown è una vera e propria mazzata dalla quale non so se riusciremo questa volta a risollevarci».

Franzé aggiunge di «aver anche chiesto un incontro al Vescovo Nostro senza tuttavia ricevere risposta. Sarebbe stata l’occasione per manifestargli quanto la sua decisione ci danneggi fortemente. Anche noi, come tanti altri abbiamo famiglie a cui badare, e un fermo di due anni non è economicamente sostenibile. Sono ripartiti tutti i settori, anche il nostro in altri territori, ma a Vibo no».

Ma è la motivazione che sarebbe stata addotta dal presule ad essere criticata dall’imprenditore: «Ci è stato riferito che è in segno di rispetto per la popolazione ucraina arrivata nel Vibonese. Un nobile intento, sia chiaro perché si tratta di gente che ha sofferto, ma a questo punto la domanda vien da sé: per gli altri profughi che provengono da altri Paesi in cui c’è la guerra? Centro Africa, Siria, l’area in cui vivono i Curdi, massacrati dai turchi, solo per citarne alcuni? Questa gente è forse diversa?».

Quindi l’auspicio di Franzé: «C’è ancora tempo per rivedere questa decisione e mi auguro che il Vescovo Nostro ci venga incontro. Anche noi abbiamo bisogno di lavorare».

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