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L'ex procuratore di Vibo Alfredo Laudonio

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VIBO VALENTIA – Non luogo a procedere ma solo perché il procedimento si è estinto per cessazione all’appartenenza all’ordine giudiziario. Si è conclusa quindi con questa formula e con la trasmissione degli atti alla procura generale della Corte dei Conti, il procedimento disciplinare davanti al Csm a carico dell’ex procuratore di Vibo Valentia (che ha guidato l’Ufficio requirente fino al 2007) Alfredo Laudonio, incolpato di diverse condotte «idonee a ledere l’immagine del magistrato».

Il procedimento, come detto, si è estinto per cessazione dell’appartenenza di Laudonio (già collocato fuori ruolo dal Consiglio superiore della magistratura) all’ordine giudiziario: il 12 settembre scorso, infatti, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato il provvedimento di dispensa dal servizio del magistrato.

L’ex magistrato vibonese era incolpato in relazione a due diversi illeciti disciplinari. Nel primo, gli veniva contestato di essere venuto meno al proprio dovere di diligenza in relazione alle indagini sulla morte di Federica Monteleone, il 26 gennaio del 2007, nell’ospedale di Cosenza, in seguito ad un blackout in sala operatoria nel corso di un intervento di appendicectomia alla quale si era sottoposta al nosocomio di Vibo Valentia. Il relativo processo penale si è concluso nell’aprile dello scorso anno con la prescrizione dei reati di omissione di atti d’ufficio e favoreggiamento personale (LEGGI LA NOTIZIA), anche se la Cassazione ha rigettato il ricorso del magistrato contro la condanna a indennizzare i parenti della vittima (LEGGI L’ARTICOLO).

In secondo grado il verdetto di condanna era stato di sei mesi mentre in primo grado di un anno e otto mesi (LEGGI LA NOTIZIA). Il secondo illecito riguardava una vicenda per la quale Laudonio è stato condannato con sentenza definitiva a un anno e sette mesi per peculato. Nel mirino dei giudici diverse missioni dell’allora procuratore di Vibo Valentia a Roma, presso il servizio centrale della polizia scientifica, a seguito delle quali il magistrato «liquidava a se stesso» rimborsi per le spese di viaggio e soggiorno, compresi pernottamenti nella Capitale «non strettamente necessari».

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