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L'attentato in cui morì Matteo Vinci nel 2018

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CATANZARO – Quello di ieri, in Corte d’Assise, è stato l’esordio in un processo del nuovo collaboratore di giustizia, Walter Loielo, ex rampollo dell’omonima famiglia di Gerocarne.

E la sua voce si è udita nel corso del procedimento penale per l’autobomba di Limbadi che il 9 aprile del 2018 ha ucciso Matteo Vinci e ferito il padre Francesco.

Il 23enne, recentemente indagato insieme al fratello Ivan per l’omicidio del padre, Antonio, ha risposto alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, ha raccontato del suo rapporto con Antonio Criniti, indagato insieme a Filippo De Marco con l’accusa di essere gli esecutori materiali della bomba, anche se a novembre scorso il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato la misura cautelare detentiva ma ha annullato ad entrambi due capi di imputazione: l’omicidio e l’estorsione.

C’è un episodio per cui Loielo è in aula oggi nel processo di fronte alla Corte d’Assise di Catanzaro contro Domenico Di Grillo, di 72 anni; la moglie, Rosaria Mancuso (64); il genero, Vito Barbara (29) e la figlia Lucia (30): durante un interrogatorio avrebbe riferito che tra fine del 2017 e inizio a 2018 nella sua abitazione di Gerocarne si sarebbero presentati Antonio Criniti e suo cognato Filippo per consegnare “un’imbasciata dei Mancuso di “là sotto””. “La sotto” è Limbadi, casa dei Mancuso, famiglia egemone del territorio vibonese. Il contenuto del messaggio? “Uccidere un vecchietto in un campagna per 5mila euro” Ma Loielo confessa di essersi rifiutato e di non aver mai conosciuto il nome della persona che doveva essere uccisa.

La narrazione si è arricchita poi anche di un altro episodio. Il giovane collaboratore di giustizia ha raccontato, infatti, di aver parlato dell’incontro avvenuto a Gerocarne anche con Giuseppe Salvatore Mancuso, figlio dell’Ingegnere, e fratello del pentito Emanuele, durante il suo periodo di latitanza nelle zone di Gerocarne. Siamo nel 2019, dopo che la bomba ha ucciso il 42enne biologo di Limbadi, e Mancuso dice che era stato un cognato degli imputati a dare l’ordine dell’omicidio nascondendolo ai parenti. Su domanda del controesame dell’avvocato Fabrizio Costarella, lo stesso collaboratore confessa di non aver capito effettivamente a quale cognato si riferisse: «Oggi mi sono confuso», ha ammesso il pentito.

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