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Giancarlo Pittelli

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«NON sono un massomafioso». La voce che riecheggia nell’aula buker di Lamezia è quella di Giancarlo Pittelli, imputato al processo Rinascita-Scott. Dichiarazioni spontanee, quelle che il penalista rilascia per oltre un’ora nel corso dell’ultima udienza, esponendo il proprio punto di vista su tutte le questioni che lo stanno riguardando. Collegato dal carcere di Melfi, dove si trova detenuto, l’ex parlamentare di Forza Italia Pittelli è tornato a parlare, contro la volontà dei suoi due legali di fiducia, contro il «massacro mediatico» al quale deve «assistere ormai da due anni».

Sulla lettera alla ministro Carfagna, il penalista specifica quindi di non averle «scritto per avvelenare i pozzi o per condizionare il processo ma solo per gridare il mio dolore e la mia disperazione». Professandosi più volte innocente, Pittelli ha ribadito di essere una «persona perbene e di non aver commesso alcun reato. Mi è stata tolta la pelle e la carne e sono stato dato in pasto alla pubblica opinione. Secondo l’accusa io avrei pervertito la mia vita, insozzando la toga di mio padre e di mio nonno per interessi di mafia e di denaro».

In questi due anni ha partecipato personalmente a una sola udienza, quella del 19 novembre del 2020: «Speravo di dimostrare in modo celere la mia innocenza» ma «dal 19 dicembre del 2019 io esisto solo nei provvedimenti giudiziari, nelle trasmissioni televisive, nei servizi giornalistici che hanno pubblicato di tutto e di più. Sono stato descritto come il sostituto in terra di Lucifero e di me è stata data un immagine distorta attraverso una campagna di stampa senza precedenti nella storia di questa terra».

Superata, per così dire, la fase emotiva, Pittelli si è poi concentrato sui suoi rapporti con la massoneria alla quale aderì «su invito di un avvocato di Cosenza negli anni ’80», quando gli sarebbe stata proposta anche la candidatura al Parlamento tra le file del Partito Liberale Italiano: «Rinunciai a un seggio sicuro – ha spiegato – e accettai di iscrivermi alla loggia massonica dove trovai illustri professionisti. Dopo pochi mesi mi resi conto che non era una cosa interessante e che il mio lavoro di avvocato mi assorbiva troppo. Non riuscivo a seguire le riunioni che venivano organizzate ogni mercoledì. Fino ai primi anni ’90 partecipai al massimo a 10 di esse».

Quindi, la sua lunga attività politica che lo portò anche a diventare deputato prima e senatore in seguito: «Mi sono riscritto alla massoneria aderendo al “Grande Oriente d’Italia” successivamente sollecitato da un amico carissimo di Soverato ma non ho mai chiesto, non mi sono mai arricchito e non ho mai approfittato neanche per il mio lavoro. Una sola volta mi sono rivolto ai vertici massonici per una truffa da me subita e ma non ebbe alcun effetto».

Il capitolo politica non poteva, dunque, restare avulso dal discorso del penalista a processo. Con la sua carriera iniziata negli anni ’80 in qualità di responsabile della giustizia del Partito Popolare Italiano, quando era ancora un giovane avvocato di Catanzaro, Pittelli ha ricordato di essere stato anche assessore comunale alla Cultura precisando di non essere mai stato sfiorato, come pubblico amministratore, da alcuna inchiesta giudiziaria, aggiungendo di essersi piuttosto trovato a difendere i suoi colleghi politici finiti in alcune indagini della Procura di Catanzaro. Quindi, nel 1999, il richiamo del Cavaliere e l’adesione a Forza Italia: «Mi fu proposta – ha raccontato – la presidenza della Regione Calabria ma io rifiutai indicando quale candidato Chiaravalloti, e Frattini seguì il mio consiglio. Divenni successivamente presidente della Sacal dove risanai il bilancio e poi venni candidato alla Camera dei Deputati». Tra il 2001 e il 2013 rimase quindi parlamentare alternandosi tra Montecitorio e Palazzo Madama ma «mentre facevo politica – ha tenuto a precisare – non ero iscritto alla massoneria».

E neanche lo scontro avuto con Luigi De Magistris è rimasto fuori dalle dichiarazioni dell’imputato che, anzi, fa risalire tutti i suoi «guai» proprio a quello scontro mediatico con l’allora magistrato di Catanzaro: «Fu lui – ha affermato ancora in aula – e non la Dda di Catanzaro, a coniare il termine di “massomafia”», definendo le indagini portate allora avanti da De Magistris come «improponibili».

Una contrapposizione aspra, forte, tra i due che raggiunse il culmine nel 2007 con un primo avviso di garanzia inviato a Pittelli per la presunta violazione della legge Anselmi e sul quale il penalista si è soffermato: «Un fatto immediatamente archiviato per insussistenza della notizia di reato dal pm Curcio che oggi è il procuratore della Repubblica di Lamezia Terme», ha ricordato menzionando inoltre di essere stato imputato a Salerno e di essere stato assolto in via definitiva dalla Cassazione. Quindi il nuovo attacco all’ex sindaco di Napoli: «Continua nel frattempo a parlare di massomafia e con questo argomento si è fatto cinque campagne elettorali. Questa di Pittelli massone che aggiusta i processi è soltanto una leggenda tant’è che i collaboratori di giustizia sono stati documentalmente smentiti. Secondo l’accusa io avrei corrotto tutti i magistrati calabresi molti dei quali attualmente in servizio nel distretto giudiziario di Catanzaro. Tutti sanno invece che io non sono mai entrato nelle stanze dei giudici se non per un saluto o per una richiesta lecita».

Quindi, il rapporto con alcuni dei suoi assistiti più importanti, su tutti il boss di Limbadi Luigi Mancuso, tra i principali imputati in Rinascita-Scott. Pittelli ha raccontato di averlo difeso per la prima volta «dinnanzi al Tribunale di Crotone, nel 1981, dove fu prosciolto. Mi fu indirizzato da un cliente catanzarese. Ricorderò il nome e certamente non farà piacere a qualcuno. Con Luigi Mancuso – ha aggiunto l’ex parlamentare – ho avuto frequentazioni carcerarie ed extracarcerarie intense ma mai alcuno screzio, ma richieste illegittime da lui rivolte e lo ho difeso fino al 2017», ha precisato aggiungendo di non «aver mai chiesto una lira a lui, nonostante la situazione finanziaria in cui versavo ad eccezione degli onorari», né «ho mai parlato con lui della società Trustplastrom né potevo farlo perché lui era al 41bis e io non ero più il suo avvocato».

Pittelli si è anche soffermato sulla circostanza di aver appreso in anticipo dell’indagine Rinascita-Scott: «Siamo nel 2016, nell’ambito della mia vecchia clientela vibonese c’era molto fermento per le collaborazioni di Moscato, Mantella, di Emanuele Mancuso, Giampà e tutti chiedevano notizie in merito. Io ero a conoscenza di verbali zeppi di “omissis” versati in alcuni processi e, data la mia esperienza, dicevo a tutti che se tale circostanza fosse stata vera sarebbe stato un macello perché questi (i pentiti, ndr) avrebbero “spaccato” un sacco di persone; al ché si iniziava a parlare di una grossa operazione; poi, il presidente del Tribunale di Catanzaro fece affiggere un cartello in cui si leggeva che la dott.ssa Saccà sarebbe stata esonerata dalle udienze per un anno in quanto impegnata a redigere una ordinanza a carico di 300 persone, quindi a fare il paio ci voleva poco. C’erano verbali di “Black Money”, di “Villa Verde” e solo di questi io parlavo con tutti i clienti che mi chiedevano».

Pittelli afferma di essere cautelato solo per i verbali del pentito Andrea Mantella che avrebbe rivelato a Luigi Mancuso, affermando che si tratta di un «falso macroscopico, volgare, che non ha precedenti. Io non ho mai parlato in tutte le intercettazioni che avete di verbali integrali, letti, visti o di cui ho preso appunti, ma ho sempre parlato di verbali omissati. C’erano pagine e tantissimi nomi omissati e ho ritenuto che quando mancano 54 pagine in un verbale vuol dire che ci sono episodi che non sono disvelati perché ancora oggetto di investigazione. Da qui la mia deduzione di avvocato che Mantella, Moscato e altri avessero parlato di numerose circostanze e persone»; «Dove avrei potuto leggere il verbale e riferito dell’accusa del fratello di Mantella a Giamborino se è successiva al 12 settembre 2016? Come potevo rivelare una circostanza non ancora verificatasi? È impossibile».

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