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Il luogo dell'omicidio Corigliano

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VIBO VALENTIA – Colpo di scena al processo “Miletos”, avente ad oggetto in particolare gli omicidi di Giuseppe Mesiano e Angelo Corigliano, avvenuti a distanza di poche settimane: il 17 luglio e il 19 agosto del 2013. La Corte di Assise di Catanzaro Alessandro Bravin ha infatti assolto tutti gli imputati ad eccezione di uno per il quale ha inflitto la condanna 21 anni.

Cade, dunque, il castello accusatorio messo in piedi dalla Dda di Catanzaro che in sede di requisitoria del processo aveva chiesto tre ergastoli, due condanne a 21 anni di carcere e un’altra a due anni e sei mesi.

Nello specifico sono stati assolti Francesco Mesiano (per il quale è stata chiesta la pena dell’ergastolo e l’assoluzione per la tentata estorsione ai danni dei supermercati dei Corigliano a Santa Domenica di Ricadi, indicandolo quale uno dei moventi) e ritenuto dagli inquirenti il mandante dell’uccisione di Angelo Corigliano; e Vincenzo Corso (cognato di Mesiano) nei cui confronti era stata invocata la stessa pena del precedente.

Assoluzione, a fronte dei 21 anni invocati dalla pubblica accusa, anche per Giuseppe Ventrice e Gaetano Elia (tecnico delle telecamere per concorso in omicidio); e per Rocco Iannello (2 anni e mezzo la pena richiesta).

L’unica condanna è stata inflitta a Giuseppe Corigliano (padre della vittima per l’omicidio di Giuseppe Mesiano): 21 anni di reclusione senza aggravanti a fronte della pena del carcere a vita chiesta dalla Dda che aveva inoltre avanzato ulteriore richiesta di trasmissione degli atti affinché si valuti la posizione di Rocco Ventrice (padre di Giuseppe Ventrice) e dei fratelli Paolo, Fortunato e Pasquale Mesiano, più il loro zio Pasquale Mesiano.

Accolte, dunque, nella quasi totalità, le tesi messe in campo dal Collegio di difesa costituito dagli avvocati Michelangelo Miceli, Francesco Calabrese, Giuseppe Monteleone, Gianfranco Giunta, Giuseppe Di Renzo, Sergio Rotundo, Franco Iannello, Salvatore Staiano e Franco Muzzopappa.

Francesco Mesiano, insieme a Rocco Iannello, era anche accusato, il primo in qualità di mandante, il secondo quale esecutore, di aver dato fuoco al portone dell’abitazione della famiglia Corigliano la quale si era opposta alle richieste estorsive. Ancora Mesiano era chiamato a rispondere di minacce rivolte a Marianna Ventrici, moglie di Giuseppe Corigliano, e finalizzate a estromettere questi ultimi dai terreni di campagna altrimenti avrebbe ammazzato il marito; allo stesso tempo, avrebbe cercato di investire la donna utilizzando un furgone.

Giuseppe Corigliano era poi accusato di omicidio commesso in concorso col defunto figlio Angelo Antonio ai danni di Giuseppe Mesiano, il 17 luglio del 2013 a Mileto a colpi di pistola. Un delitto ritenuto dall’accusa aggravato dalla premeditazione in quanto fu in risposta all’incendio del portone.

Il luogo dell’omicidio Mesiano

Ventrice ed Elia erano invece chiamati a rispondere di favoreggiamento nei confronti di Corigliano e di concorso in omicidio con i Mesiano per l’uccisione di Corigliano. In particolare, dopo l’omicidio di Mesiano, secondo la prospettazione accusatoria avrebbero aiutato gli autori del fatto ad eludere le investigazioni, asportando le registrazioni contenute nel Dvr dell’impianto di videosorveglianza ubicato presso l’esercizio commerciale sito a Mileto e poi distruggendo i filmati acquisiti ed omettendo di consegnarli ai carabinieri.

All’uccisione di Mesiano seguì, per rappresaglia, quella Corigliano, il 19 agosto successivo.

Accuse, come visto, cadute in Corte d’Assise ad eccezione di quelle a carico di Giuseppe Corigliano il cui quadro accusatorio si è fortemente ridimensionato rispetto alle richieste avanzate dalla pubblica accusa.

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