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Il procuratore Gratteri con i magistrati dell'accusa

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VIBO VALENTIA – È considerato il braccio destro del boss Luigi Mancuso, colui il quale consente a quest’ultimo «l’agibilità politico-criminale anche nel periodo in cui decide di rendersi irreperibile per sottrarsi alle prescrizioni della misura di prevenzione che lo ha colpito». È Pasquale Gallone, 61 anni, tra i principali imputati del processo “Rinascita-Scott” del quale il gup distrettuale Claudio Paris parla nelle motivazioni della sentenza del processo in abbreviato depositate sabato scorso.

Pasquale Gallone

Il magistrato evidenzia come la compenetrazione organica di Gallone (condannato a 20 anni) con il sodalizio sia «innegabile» e al riguardo rimanda ad una lunga serie di intercettazioni come ad esempio la seguente: “Noi, non pretendiamo nulla, non siamo persone che andiamo cercando, che andiamo facendo… se c’era la possibilità, ogni anno, se volete fare un pensiero per noi… un “fiore”, poi… vedete che magari stanno pure gli altri con la bocca aperta, magari noi cerchiamo pure di chiudergliela, non magari… vi fanno qualche danno”.

Ma Gallone viene identificato in sentenza come «l’unico portavoce di Luigi Mancuso, per come rivendica lo stesso imputato mentre conversa il 28 giugno 2016 con Domenico Paglianiti e Giuseppe Barone: “Se qualcuno dice che cl ha parlato, sta dicendo una menzogna! Perché se ambasciata è, la ‘mbasciata esce da me… Sennò non esce da nessuno”». E anzi, proprio Gallone può esser definito come il «responsabile delle estorsioni: da un lato quale organo decisorio ultimo, anche in relazione a quelle di specifiche interesse della cosca, e segnatamente quelle legate alle commesse pubbliche, che gestisce in autonomia anche senza doversi necessariamente confrontare con il Mancuso».

Altro suo compito è quello di fungere «da anticamera del capo per sodali anche di peso come Giamborino, quando ne invocano un aiuto economico», e soprattutto, anche nei rapporti con le altre consorterie, ne è «noto il ruolo di plenipotenziario in rappresentanza del Mancuso, come chiaramente emerso negli incontri con il Polimeno, a sua volta emissario di Orazio De Stefano, reggente dell’omonimo clan, in ogni caso non senza essere ammesso a parlare direttamente con quest’ultimo, che lo invita a pranzo a Reggio Calabria per rappresentargli tutta la stima che nutre verso il capo che rappresenta», scrive il gup che riporta un altro passo intercettivo: «Orazio De Stefano… il fratello della buonanima di Paolo De Stefano… Questo di Reggio… Lo sai che mi ha detto? Una settimana fa… Dieci giorni indietro sono andato a mangiare Reggio e mi ha detto “È il numero uno”, ha detto “Della ’ndrangheta… Non esiste e non ne escono”.

Pertanto, a parere del magistrato, a «fronte di tali elementi – che si badi, solo esemplificativamente ed assai riduttivamente possono rappresentare lo straordinario compendio a carico dell’imputato – può dirsi senz’altro fondata la prospettazione accusatoria circa la sua appartenenza con funzione di organizzatore ascrittogli in seno alla cosca Mancuso».

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