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«Faccio parte della ‘ndrangheta da quando ero quindicenne»…. Le rivelazioni del pentito Maurizio Cortese al processo Rinascita Scott

«FACCIO parte della ‘ndrangheta da quando ero quindicenne, ovvero dal 1995. Sono stato affiliato nel 1995/96 alla cosca Serraino. Il mio punto di riferimento sono stati nel tempo Filippo e Domenico Serraino, che sono i capi storici della cosca. Sono stato detenuto dal 1998 al 2009, dal 2010 al 2016 e dal 2017 ad oggi. Ho avuto la dote di “Santista” alla presenza di Andrea Mantella e Peppe Accorinti nel 2000/2001 nel carcere di Cosenza. C’era anche Francesco Barbieri di Pannaconi (quello senza capelli) e Vincenzo Laurenti di Bagnara, ora deceduto».

Sono le parole del collaboratore di giustizia Maurizio Cortese. Entrate nel processo “Rinascita Scott” si focalizzano sulla figura dell’avvocato Giancarlo Pittelli, imputato nel maxi procedimento penale. Nel verbale del 18 gennaio scorso, il pentito racconta di aver iniziato il processo collaborativo per «fornire un futuro migliore ai miei tre figli. Figli che «a seguito dell’arresto anche di mia moglie nell’ambito del processo Pedigree, sono stati seguiti dall’associazione “Liberi di scegliere”. Quindi per poter stare loro vicino, ho deciso di collaborare con la giustizia».

MAURIZIO CORTESE A RINASCITA SCOTT: UN LIVELLO SUPERIORE DELLA ‘NDRANGHETA

Il sistema: un livello superiore della ’ndrangheta. Il racconto di Cortese al pm della Dda, Antonio De Bernardo, al Tenente Marco Caneponi ed al Maresciallo maggiore Flavio Ercoli, del Ros Carabinieri, parte dai morti degli anni ’70 a Reggio Calabria. Cortese riferisce di aver assistito a degli importanti cambiamenti negli assetti e nelle dinamiche della ‘ndrangheta. Cambiamenti che trovano in realtà radici negli episodi verificatisi in occasione dei moti di Reggio.

«All’epoca, infatti – fa mettere a verbale – importanti esponenti della ‘ndrangheta reggina, nel contesto dei moti, vennero in contatto con personaggi dell’estrema destra eversiva quali Franco Freda (legato a Gelli). Da questi contatti comincia a farsi strada l’idea di esportare in Calabria il “modello siciliano”. Ossia l’idea di aderire ad un livello superiore della criminalità organizzata che fosse trasversale alle varie organizzazioni criminali territoriali (mafia, ‘ndrangheta, ecc.). E fosse stabilmente in contatto con il mondo della massoneria e delle istituzioni».

Si tratta di un livello criminale che veniva di volta in volta chiamato terzo livello o “cosa nuova” o “sistema”, spiega il pentito. Cortese rileva poi come la necessità di riprendere questi che i vecchi capi chiamavano “vecchi discorsi”, si fece «pressante, ed io ne venni così a conoscenza, tra il 2009 ed il 2010. Ossia a seguito dell’esecuzione delle operazioni Crimine ed Infinito e della diffusione dei contenuti di queste indagini. Infatti, la commissione ’ndranghetista formata dai capi di tutte le articolazioni territoriali della ‘ndrangheta calabrese, decise di adottare alcuni provvedimenti per far fronte a quello che era successo e andare avanti su basi più solide e maggiore riservatezza».

STOP A REATI ECLATANTI CHE ATTIRASSERO L’ATTENZIONE DEGLI INQUIRENTI

Nello specifico, secondo Cortese, si sarebbe stabilito che «era necessario evitare assolutamente reati eclatanti o che attirassero l’attenzione delle forze dell’ordine, prediligendo invece una risoluzione concordata e pacifica delle eventuali controversie».

Non solo: «Evitare, come era successo nel recente passato e come fotografato dal processo Crimine, che i capi affidassero a dei loro rappresentanti determinate decisioni». Decisioni «concernenti la vita dell’associazione (comprese quelle relative alla concessione di doti e simili), prediligendo un intervento diretto del capo di ciascuna articolazione (o di un suo vice). In modo che certe problematiche venissero affrontate attraverso un’interlocuzione più snella e diretta tra gli interessati. Senza necessariamente passare attraverso le formali strutture rappresentative della ‘ndrangheta. Infine doveva esserci una contrazione nella concessione delle doti più elevate che, invece, nell’ultimo periodo, erano state attribuite con eccessiva prodigalità e superficialità. Il tutto sempre allo scopo di aumentare la riservatezza dei contesti dove venivano prese le decisioni e snellire le strutture ed i processi decisionali».

PITTELLI E LA LOGGIA MASSONICA COPERTA

Dell’esistenza di queste nuove prescrizioni e del “sistema” che doveva accompagnare e favorire questa fase evolutiva dell’organizzazione, Cortese riferisce di averlo appreso da una serie di personaggi di «assoluto spessore criminale che me ne parlarono in carcere». Tra questi anche un imprenditore reggino. «Grande massone che aveva accesso al terzo livello di cui ho detto sopra ed era un riferimento massonico per tutta la Calabria».

Nel suo racconto Cortese snocciola nomi di persone a suo dire appartenenti alla massoneria e ai servizi segreti ma non indagati nel processo. Dopo di che aggiunge di essere a conoscenza anche «dell’esistenza di logge massoniche coperte. Come ad esempio quelle insistenti a Cosenza ed a Catanzaro, di cui fa parte, tra gli altri l’avvocato Giancarlo Pittelli». Per poi spiegare la differenza tra la parte infiltrata delle logge ufficiali e quelle coperte. Differenza che «risiede essenzialmente ed esclusivamente nel fatto che le seconde non tengono registri ufficiali dei loro adepti. Per cui garantiscono una maggiore riservatezza, ma dal punto di vista funzionale, l’interno del “sistema” di cui vi sto parlando, sono esattamente la stessa cosa».

RINASCITA SCOTT, MAURIZIO CORTESE E LE RIVELAZIONE SU GIANCARLO PITTELLI

Focalizzandosi, dunque, sulla figura di Pittelli, il pentito riferisce di averlo sentito nominare per la prima volta sin dalla sua prima detenzione, nel 1998, perché «mi era stato indicato come avvocato dei Mancuso e che lui a Catanzaro faceva il bello ed il cattivo tempo. Ovvero che era in grado di sistemare i processi grazie alle sue amicizie tra i giudici catanzaresi di cui non ricordo i nomi ma so che qualcuno di questi ha poi avuto effettivamente problemi con la giustizia. Mi era stato detto ciò nel carcere di Cosenza, dove sono stato ristretto dal 1999 al 2002, da Mantella ed Accorinti. Ne parlavano tutti di Pittelli perché era un avvocato importante e tutti ne conoscevano le capacità».

Cortese aggiunge che gli era stato spiegato che Pittelli tramite «amicizie coi giudici, insieme a due avvocati – dei quali fa i nomi – era in grado di aggiustare i processi. Ricordo perfettamente che di questo fatto me ne parlò esplicitamente anche Peppe Accorinti, che io so far parte del “sistema”. Anche Barbieri mi ha parlato negli stessi termini di Pittelli. Ebbi poi modo, presso il carcere di Paola, di conoscere Saverio Razionale nei confronti del quale ho saputo che anche lui aveva entrature nella massoneria». Proseguendo nel racconto, il collaboratore riferisce di aver saputo che sempre Pittelli «era un esponente delle logge coperte di Cosenza e di Catanzaro nel 2010. Quando mi sono addentrato nell’ambiente ed ho appreso di questo specifico aspetto».

LE BOMBE DI REGGIO E L’INTERVENTO DI PITTELLI

Le rivelazioni di Maurizio Cortese abbracciano anche le bombe di Reggio Calabria. Episodi per il quale nel 2010 venne a sapere di essere stato indagato alla Procura Generale di Reggio Calabria, mediante un avviso formale da parte della Procura. Proprio in quel periodo era imputato nel processo “Epilogo” ed era stata chiesta una pena dì oltre 29 anni.

Secondo quanto riferisce, alcuni soggetti della cosca De Stefano gli avrebbero detto di fare in modo che il suo processo «fosse spostato a Catanzaro dove avrebbero potuto sistemarlo mediante l’intervento di Pittelli. Persuaso di ciò, chiesi ai miei avvocati difensori, che non erano al corrente di alcunché, di avanzare un’istanza di remissione del processo basata sul fatto che i magistrati di Reggio Calabria potevano essere condizionati dalla circostanza che io fossi indagato anche per la vicenda della bomba alla Procura Generale». Istanza che però fu rigettata dalla Cassazione portando il pentito ad iniziare uno sciopero della fame poi interrotto dopo essere stato notiziato sempre da esponenti di De Stefano che, per come sostenevano, «il processo avremmo potuto aggiustarlo in appello anche a Reggio Calabria».

«NOMINAI PITTELLI E NON SO COME MI TROVAI FUORI DAL CARCERE»

Cortese ricorda di aver nominato Pittelli solo dopo aver ricevuto l’invito a farlo da diversi esponenti della criminalità organizzata. Giuseppe Brandimarte e Pasquale Arena, precisando che nel primo caso la richiesta fu fatta dallo stesso penalista mentre nel secondo da Luigi Mancuso. E così, il pentito procedette in tal senso e «non so come fu raggiunto questo risultato, se non nei termini che in seguito vi preciserò, ma sta di fatto che a pochi mesi dalla nomina mi trovai fuori dal carcere. Ed all’esito del giudizio di appello, ottenni un considerevole sconto di pena di circa una dozzina d’anni, anche grazie all’esclusione della qualità di capo promotore della cosca. Quando sono stato scarcerato, dissi ai Brandimarte di fare un regalo a Pittelli da parte mia. Poi seppi che gli fu consegnata all’avvocato la somma di 40mila euro».

RINASCITA SCOTT, MAURIZIO CORTESE E IL PRESUNTO CONTATTO CON I SERVIZI SEGRETI

Una volta scarcerato Cortese ricorda di essere stato presentato ad un appartenente ai servizi segreti. Questi gli avrebbe confermato il riuscito «aggiustamento del processo per il tramite di Pittelli. Precisando però che vi era stato decisivo interessamento ed intervento da parte sua e del “sistema” cui apparteneva, perché altrimenti disse, Pittelli non avrebbe potuto fare “magie”». E, sempre secondo il pentito (che menziona i nomi di tutte le persone coinvolte nella vicenda) sarebbe stato sempre questo soggetto a riferire le modalità di «avvicinamento di un magistrato della Corte d’Appello». Avvicinamento per il «tramite di un avvocato di Locri». Rivelando infine che quando venne arrestato, nel 2016, fu tradotto al carcere di Torino, dove conobbe «Gaetano Riina, fratello di Totò Rina. Con cui ebbi modo di parlare del “sistema” e della cosiddetta “cosa nuova”, che ho descritto prima come un livello superiore alle singoli organizzazioni criminali territoriali».

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