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Giancarlo Pittelli mentre si reca in tribunale (foto d'archivio)

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L’accusa propone di ascoltare altri 9 pentiti sulle accuse a Giancarlo Pittelli ma il tribunale non concorda e ne ammette solo 3

VIBO VALENTIA – Accolte solo parzialmente le richieste suppletive di prova avanzate a febbraio scorso dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Il Collegio giudicante del processo Rinascita-Scott, dopo settimane di riserva, ha sciolto proprio ieri la decisione ammettendo solo un numero limitato di collaboratori di giustizia e l’acquisizione di una serie di intercettazioni con riferimento a cinque imputati e conseguente estensione dell’incarico peritale.

LA DDA PROPONE 9 PENTITI SUL CASO PITTELLI, IL TRIBUNALE NE AMMETTE 3

La richiesta sui nove collaboratori di giustizia riguardava la posizione dell’avvocato Giancarlo Pittelli, principale figura del procedimento penale, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: si trattava di Nicola Femia, 61 anni, di Gioiosa Ionica, che agli inquirenti aveva raccontato che anche lui si sarebbe rivolto al penalista al fine di individuare una soluzione alla situazione processuale in cui si trovava aggiungendo di avergli consegnato 50mila euro «poiché mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare la sentenza di primo grado».

In aggiunta aveva dichiarato che il boss Antonio Mancuso gli confidò che l’imputato era stato politicamente “portato avanti” direttamente da lui. Con la raccolta di voti in occasione delle politiche che avevano visto l’ex esponente di Forza Italia candidato al Parlamento.

Un altro collaboratore del quale la procura ha chiesto l’escussione era Dante Mannolo, di San Leonardo di Cutro, il quale aveva riferito a suo tempo che Pittelli consegnò 100 milioni di lire al vertice della cosca per consentire la compravendita di un villaggio turistico.

A seguire Angelo Santolla di Cosenza per il quale “per noi era cosa risaputa che l’avvocato Pittelli fosse in grado di fornirci informazioni sulle indagini in corso”. Un’altra figura della quale si era chiesta l’ammissione è Antonio Genesio Mangone, l’avvocato catanzarese che “apriva conti correnti, faceva ottenere agevolazioni nell’ambito sanitario, affidamenti dalle banche, faceva conoscere persone importanti come direttori di banca e anche politici”.

GLI ALTRI PENTITI CHIESTI DALL’ACCUSA

Nella lista figuravano poi Marcello Fondacaro, di Gioia Tauro, Domenico Antonio Critelli di Cariati, Francesco Farao, di Cariati, Nicola Acri. Pentiti che fanno riferimento ad un omicidio molto risalente nel tempo quello di Mario Mirabile, ucciso a colpi di arma da fuoco il 31 agosto del 1990 a Corigliano Calabro. Un fatto di sangue con un lunghissimo iter processuale nel quale avrebbe rivestito un ruolo determinante proprio Giancarlo Pittelli che avrebbe, secondo i pentiti, corrotto un giudice.

Infine Maurizio Cortese, che parlando dell’esistenza del “Sistema” o “Cosa nuova”, indicandolo come un anello di congiunzione tra ’ndrangheta, massoneria e istituzioni, aveva inserito anche la figura di Pittelli, come appartenente a logge coperte, che sempre secondo il pentito avrebbe avuto anche un ruolo decisivo nel processo che vedeva imputato lo stesso collaboratore per le bombe alla Procura generale di Reggio (dichiarazioni che abbiamo pubblicato nei giorni scorsi).

PENTITI SU PITTELLI, IL TRIBUNALE NE AMMETTE SOLO 3

Il Collegio presieduto dal giudice Brigida Cavasino ha rilevato che l’accezione concettuale della “prova nuova”, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, è «significativa non già di una prova sopravvenuta o scoperta successivamente a quella articolata dalle parti, ma semplicemente di prova non precedentemente disposta; come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, l’assoluta necessità della prova deve essere valutata nella prospettiva della ricerca della verità – fine primario ed ineludibile del processo penale – e della salvaguardia del principio di non dispersione degli elementi dimostrativi di cui sia nota la rilevanza e pertinenza riguardo il thema probandum che giustifica ed orienta i poteri integrativi officiosi del giudice».

Il tribunale ritiene legittima l’acquisizione delle intercettazioni autorizzate ed eseguite in procedimenti diversi e fatte oggetto di trascrizione peritale nel procedimento di importazione, ancorché non depositate e trasmesse a norma di legge.

Pertanto, sulla base di tali motivazioni, il Collegio ha disposto l’escussione dei collaboratori di giustizia Domenico Guastalegname (la cui richiesta è avvenuta solo pochi giorni fa), Nicola Femia e Antonio Genesio Mangone, limitatamente alle circostanze indicate nelle memorie. Disponendo, inoltre, l’acquisizione delle intercettazioni indicate dall’Ufficio di Procura nelle memorie depositate con riferimento alle posizioni di Antonio La Rosa, Domenico Salvatore Polito, Vincenzo Barba, Paolino Lo Bianco, Francesco Barbieri (tutti coinvolti nella recente inchiesta “Olimpo”), con conseguente estensione dell’incarico peritale.

Allo stesso tempo, è stata disposta l’escussione dei testimoni di Polizia Giudiziaria Mario Monteleone, Giuseppe Molino e Nazzareno De Angelis, limitatamente alle attività di intercettazione. Rigettate, infine, le richieste in ordine ai collaboratori di giustizia Mannolo, Santolla, Farao, Critelli, Acri, Fondacaro, Cortese nonché del testimone di Polizia Giudiziaria Marco Califano e quella sulla posizione di Gaetano Molino di acquisizione delle intercettazioni indicate nella relativa memoria.

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