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L'Aula bunker dove si svolge il processo Rinascita Scott

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Rinascita Scott: è la volta del pentito Rocco Femia che racconta il suo primo omicidio ma anche il ruolo dell’avvocato Giancarlo Pittelli

LAMEZIA – Il primo omicidio l’ha commesso a soli 15 anni, ma ha scontato soltanto poco più di un anno perché, dice, c’erano dei testimoni compiacenti. La sua vita criminale è stata un continuo viavai dal carcere fino alla decisione di collaborare con la giustizia, nel 2017. Quella di Rocco Nicola Femia, ex esponente del clan Mazzaferro, svoltasi stamani in Aula Bunker nell’ambito di Rinascita-Scott, è stata una udienza lunga ed articolata, focalizzata in particolare sulla posizione dell’avvocato Giancarlo Pittelli, e caratterizzata da qualche scaramuccia processuale tra il pm della Dda, Antonio De Bernardo, e l’avvocato Salvatore Staiano, legale del penalista catanzarese. Un po’ più vivace, invece, quella tra quest’ultimo e il teste.

L’ESAME DEL PM E LE RIVELAZIONI DI FEMIA

Il rappresentante della pubblica accusa ha iniziato ad esaminare il pentito (assistito dall’avvocato Annalisa Pisano, in sostituzione del collega Carmen Di Meo), partendo con i motivi della collaborazione. Una storia criminale, quella di Femia, che risale al 1976 con l’uccisione di un uomo, quando era appunto minorenne, per la quale però farà solo un anno e mezzo di carcere in quanto assolto perché “c’erano testimoni compiacenti”.

Un delitto avvenuto durante la guerra tra Aquino e Mazzaferro, fazione, quest’ultima, con la quale era schierato, e parente del boss Vincenzo Mazzaferro. Il suo score criminale è lungo e impressionante: oltre all’omicidio, figurano associazione a delinquere, armi, droga ed altro, così come sono rilevanti i suoi contatti (“i Nirta, i Cataldo, i Morabito li conoscevo tutti”).

Il carcere, tra il ’76 e l’82, ha caratterizzato la sua esistenza in un continuo un andirivieni fino alla decisione di collaborare. Nell’82 il trasferimento a Santa Maria del Cedro dove ha iniziato a trafficare stupefacenti e a causa del quale gli si riaprono le porte del penitenziario. La galera è stata un comune denominatore anche quando si è trasferito a Bologna, dal fratello, con l’approdo nel business delle Slot Machine (“detenevo il 13% del mercato nazionale, fornendo i giochi online alla consorteria dei Casalesi”), dove vi finirà, per l’ultima volta prima di pentirsi (2017) “per cambiare vita e offrire un futuro migliore ai miei figli”, a seguito dell’arresto dell’operazione “Black Monkey” (2013).  

RINASCITA SCOTT, FEMIA PUNTA IL DITO CONTRO PITTELLI: «AGGIUSTAVA I PROCESSI»

La conoscenza del noto penalista, imputato al processo, il pentito l’ha fatta risalire a gennaio-febbraio del 2009 dopo aver incassato, pochi mesi addietro, una condanna a 30 anni da parte del Tribunale di Paola e a farglielo incontrare “è stato l’avvocato Nocera del Foro di Locri. Io non lo conoscevo – ha precisato Femia – ma ho saputo che era uno dei migliori su Catanzaro e, visto che c’era da preparare il mio processo d’Appello, mi sono rivolto a lui anche perché in carcere girava voce sulla sua bravura e degli agganci che aveva con i magistrati per aggiustare i processi”.

In quel periodo, il teste ha ricordato di recarsi presso la casa del penalista “per portargli i soldi; si trattava di un acconto di 25mila euro in tagli da 500 euro, senza ricevere mai fattura, ed era stata una mia iniziativa per fargli capire che non avevo problema di soldi in quanto a me interessava che venissi assolto al processo”. E Pittelli avrebbe risposto che “avrebbe visto cosa poteva fare per sistemare le cose, che c’erano delle possibilità, ma non mi aveva dato sicurezza”.

L’8 novembre Femia venne nuovamente arrestato – per il pericolo di fuga dopo la condanna a 30 anni – e tradotto a Spoleto e da lì “inviò il figlio nell’ufficio di Pittelli con altri 25mila euro per il Tdl, che venne rinviato due-tre volte prima della scarcerazione, a febbraio dell’anno successivo”.

Pittelli “devoto” ai Mancuso e il presunto sostegno elettorale

E nel penitenziario umbro il pentito ebbe l’occasione di conoscere “Domenico Scardamaglia, Stefano Alvaro di Sinopoli e, dopo un po’, anche Antonio Mancuso che era difeso proprio da Pittelli del quale mi disse che era una avvocato serio e che doveva ringraziare la sua famiglia se era andato in parlamento per i voti che gli avevano dato. Aggiunse che era devoto a loro proprio per questo fatto dell’elezione, che per tale motivo non si faceva pagare, e che se prende un impegno lo mantiene. Disse inoltre che aveva molte amicizie con i magistrati a Catanzaro che gli consentivano cambiare l’esito dei processi, e che, infine, per quanto concerne la sua posizione, si stava dando da fare per trasferirlo in un Centro clinico di Pisa e questo perché stava dissimulando una malattia, ma in realtà lui stava benissimo”.

RINASCITA SCOTT, FEMIA CHIEDE AL BOSS MANCUSO IL PERMESSO DI CHIEDE AIUTO A PITTELLI

Femia avrebbe chiesto all’anziano boss di Limbadi “se poteva mandare una imbasciata a Pittelli per avere maggiore sicurezza, magari avrebbe potuto avvicinare un magistrato, visto che avevo rimediato una condanna a 30 anni, e lui aveva risposto che lo avrebbe fatto”.

Il collaboratore venne scarcerato l’8 febbraio del 2010 per la venuta meno delle esigenze cautelari e successivamente incontrò a Roma il legale il quale gli portò altri 25mila euro “di mia volontà’ e che gli “disse che c’era la possibilità di aggiustare il processo, chiedendomi 50mila euro di acconto e, inoltre, che Antonio Mancuso mi mandava i saluti”.

Il denaro, il teste ha affermato di averlo portato al penalista al suo studio nella Capitale, in via della Lupa, accanto al Parlamento, e nell’occasione “lui mi aveva chiesto se volevo fare qualche investimento immobiliare e se volevo comprare la sua barca ma a me non mi interessava ma l’ho fatto mettere in contatto con un noto giocatore di biliardo, che poi ebbe problemi con la giustizia, e so che l’affare si concluse”; in un ulteriore incontro a Catanzaro “mi notiziò del cambio di un magistrato in Appello e che non sapeva cosa potesse fare”.

MA ALLA FINE IL PROCESSO ANDÓ MALE…

Alla fine il processo (tornato dalla Cassazione) “andò male – ha riportato l’ex esponente dei Mazzaferro -. Perché non venni assolto ma ebbi solo una riduzione della pena a 23 anni. Le spiegazioni che mi sono dato è che non so se Pittelli mi ha preso in giro oppure magari non ha potuto davvero fare nulla”; tuttavia il pm, leggendo il verbale a firma del pentito, ne ha riportato le dichiarazioni di natura differente: “Ritengo che il mancato aggiustamento del processo sia dovuto al fatto che, nelle more, la Dda di Bologna stava svolgendo indagini con il Gico di Bologna in merito al tentativo di corruzione di un giudice della Cassazione del cui scandalo avevano parlato i giornali nazionali”. E i soldi, Femia, ha riferito di “non averli mai chiesti indietro a Pittelli perché avevo un altro processo a Catanzaro e sapevo che comunque lui aveva amicizie”.

Il controesame di Staiano e Contestabile. 

È stato l’avvocato Staiano ad iniziare il controesame chiedendo chiarimenti in primis sul trasferimento di Mancuso al Centro Clinico di Pisa con il pentito che ha specificato di «non sapere se Pittelli abbia mai speso un intervento illecito per la mia vicenda». So solo che Mancuso mi disse che stava aspettando di andare al centro clinico perché me glielo aveva detto Pittelli”, ma Staiano ha annunciato produzione documentale “che smentisce il racconto del collaboratore”. E sulla scarcerazione del Tdl, Femia ha risposto “di non sapere se Pittelli avesse pagato. A me importava uscire di carcere”.

Successivamente è stata la volta del collega Guido Contestabile che ha saggiato l’attendibilità del teste in ordine alle prime dichiarazioni rilasciate all’autorità giudiziaria tra Salerno, Bologna e Catanzaro su Pittelli e su Antonio Mancuso evidenziando che fece il nome del penalista per prima volta solo 4 anni dopo l’inizio della sua collaborazione.

Per quanto concerne, poi, la vicenda del presunto appoggio elettorale a Pittelli da parte dei Mancuso, il teste ha ribadito quanto dettogli dal boss di Limbadi mentre sulla circostanza, riferitagli sempre da quest’ultimo in ordine alla presunta capacità del penalista di “aggiustare i processi”, ha risposto di “non aver mai chiesto a Mancuso quale processo Pittelli gli abbia aggiustato”.

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