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L'alloggio dove si nascondeva Pasquale Bonavota

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VIBO VALENTIA – Quell’annuncio su internet aveva catturato la sua attenzione. Un appartamento sito al quarto piano, interno 23, di un palazzo anonimo come tanti altri, al civico 72 di via Bologna, nel centro storico di Genova. Ed è l’anonimato che cercava, per proseguire la sua latitanza. Alle proprietarie si è presentato ovviamente con un nome fittizio: Domenico, e nel corso del tempo aveva mantenuto un atteggiamento discreto tanto da indurre le due donne a parlare di lui come di persona tranquilla. Se poi a questo si aggiungevano non solo il pagamento puntuale della retta ma anche una maggiorazione rispetto alla quota pattuita, per non destare sospetti, è chiaro che per le titolari dell’appartamento si trattava dell’inquilino ideale.

Ma dietro quella barba brizzolata e incolta, gli occhiali la carta d’identità fasulla si nascondeva un individuo ben diverso, un boss, colui il quale è ritenuto a capo di una delle maggiori ’ndrine del Vibonese: Pasquale Bonavota. Tant’è che la mattina della sua cattura, il 27 aprile scorso, ad opera di carabinieri nella cattedrale di San Lorenzo, lo stupore delle due dovrebbe essere stato enorme (LEGGI LA NOTIZIA DELL’ARRESTO).

Il contatto per l’alloggio

Il primo contatto tra il latitante e le proprietarie dell’alloggio è avvenuto nel 2019. Sono le stesse a riferirlo agli inquirenti subito dopo l’arresto. Una delle aveva fatto una inserzione di affitto su un sito (Ebay o Subito.it) dedicato alla locazione di immobili, ma riferisce che dopo poco tempo era stata contattata sul proprio numero di cellulare da una persona che si era presentata come Domenico, specificando di non ricordarne, però, il cognome, con cui aveva fissato un appuntamento per vedere i locali. La visita era andata positivamente e “Domenico” aveva deciso di prendere in affitto l’alloggio, lasciando una copia della sua carta d’identità (fasulla ovviamente) e pagando all’inizio una somma di circa 600 euro, cifra che era salita di 80 euro negli ultimi periodi, comprensiva di spese di acqua, luce, gas e di altro genere. “Era stato lo stesso latitante a non volere regolarizzare con un contratto la locazione”, ha precisato la donna specificando inoltre che “non è mai intervenuta in alcun modo durante le fasi dell’accordo alcuna Agenzia Immobiliare”.

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«Non creava problemi»

E di come la condotta di Bonavota fosse esemplare, senza dare nell’occhio, lo si evince sempre dalle affermazioni delle proprietarie dell’appartamento le quali hanno riferito di non aver mai ricevuto “lamentele da condomini vicini in relazione al comportamento di Domenico; era una persona molto riservata, si muoveva a piedi non aveva alcun mezzo di locomozione, viveva da solo, e una volta mi disse che la moglie, insegnante, lavorava e viveva a Roma nella zona di Città del Vaticano, dove appena possibile anche lui tornava. Nelle occasioni in cui ci incontravamo era comunque una persona disponibile alla comunicazione, si lamentava spesso del suo stato di salute. Era sempre qua però lo incontravo solitamente all’inizio del mese per riscuotere l’affitto, capitava comunque di vederlo per strada occasionalmente”.

Ovviamente, nel corso delle poche, sporadiche conversazioni avute soprattutto all’inizio, la curiosità delle donne era indirizzata a capire qualcosa in più di quell’individuo, ad esempio cosa facesse nella vita. Bonavota avrebbe quindi riferito di lavorare nella zona di Genova-Molassana, “forse nell’edilizia” e che nel periodo del Covid svolgeva l’attività in smart working.

L’ultimo incontro

Avvenne il 2 di aprile scorso in Largo San Francesco da Paola, e nell’occasione Bonavota aveva saldato la locazione mensile. Appena 25 giorni dopo, infatti, l’epilogo della latitanza del boss nella cattedrale di San Lorenzo. E, per le due donne, la scoperta di una verità che mai avevano sospettato potesse esistere.

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