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L'ospedale vi Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Lo chiamano dall’ospedale per l’intervento programmato da tempo, lo preparano per l’operazione ma quando, dopo sei ore e mezza di attesa, si tratta di entrare in sala operatoria ecco la sgradita sorpresa: l’anestesista non si presenta perché, sostiene, dopo le 14 si fanno solo interventi urgenti. E il suo non lo era. A nulla sono valse le giustificate proteste dell’utente. Risultato? Operazione annullata e nuova convocazione per venerdì prossimo. Con la speranza di farcela, questa volta.

Difficile non parlare di malasanità a proposito di questa ennesima “perla” della sanità pubblica vibonese. Una vicenda che, per come si è svolta, ha indubbiamente dell’incredibile, anche se, come vedremo, è figlia non già del capriccio di un medico bensì della persistente carenza di anestesisti di cui soffre da anni la sanità pubblica vibonese.

Lui è Domenico S. 30 anni di Vibo, al quale quel rifiuto non è andato per niente giù. Ieri mattina infatti, uscito dallo Jazzolino, ha telefonato subito al Quotidiano del Sud per raccontare quanto era accaduto e chiedere al management come sia stato possibile.

«Qualche tempo fa – racconta – una visita specialistica mi aveva ordinato di sottopormi ad un intervento chirurgico di ernia inguinale. Ho fatto pertanto tutto l’iter e l’operazione è stata fissata a lunedì 14 giugno. Sabato scorso, per altro, dall’ospedale mi hanno contattato, ricordandomi di presentarmi regolarmente lunedì mattina, a digiuno, presso il reparto di chirurgia».

Ieri mattina alle 8, pertanto, munito della prenotazione, il giovane si è presentato davanti al medico Giovanni Petracca che doveva operarlo.

«Dopo avermi regolarmente preparato per l’intervento, mi hanno messo in lista per la sala operatoria per le 13.30. Poco prima dell’orario fissato mi portano in barella nella saletta di attesa. Sento discutere alcune persone e poco dopo il dottore Petracca viene da me e mi dice che posso andarmene, l’intervento non si potrà fare. Il motivo? Mi ha detto che lui era disponibile ad operare ma l’anestesista di turno aveva chiamato per comunicare la sua indisponibilità. E senza anestesista l’intervento era impossibile da fare. Praticamente era l’ora del cambio di turno e l’anestesista subentrante si era categoricamente rifiutata perché, a suo dire, nel pomeriggio erano previste soltanto operazioni urgenti, non quelle programmate».

Ma come – ragiona il paziente, giustamente infuriato – mi avete prenotato voi, mi avete convocato per stamattina, mi preparate, mi fate aspettare sei ore e mezzo e poi alla fine l’anestesista rifiuta di operare? «Com’è possibile? C’è qualcosa che non va. Gli interventi programmati sono proprio quelli non urgenti che vengono fissati, appunto, per una certa data secondo una logica operativa interna. Poi però non si fanno… Che logica è questa?».

L’interessato legge anche il documento, indirizzato al suo medico curante, che gli hanno consegnato, congedandolo dal reparto: «L’intervento non è stato eseguito per indisponibilità della sala operatoria. Il paziente deve tornare venerdì 18 giugno, alle ore 7.45 per intervento chirurgico programmato, a digiuno».

Scontato a questo punto, quanto acido, il commento del paziente: «Ma siamo sicuri che venerdì riusciranno ad operarmi? E se dovesse esserci qualche altro intervento urgente, come la mettiamo?».

A dare una spiegazione è il medico Franco Zappia, primario del reparto di chirurgia: «Il problema a monte è semplice: non ci sono sufficienti anestesisti. E’ questa la ragione per cui ogni settimana sono previste soltanto due sedute operatorie non programmate, da effettuarsi in orario antimeridiano. Nel pomeriggio si opera soltanto per urgenze. Ieri mattina, giorno di operazioni programmate, sono arrivate alcune urgenze, il tempo si è dilatato. Il chirurgo comunque era pronto ma l’anestesista del turno pomeridiano ha comunicato che era tenuto solo alle urgenze, e quell’intervento non lo era. Comunque, il commissario straordinario conosce tale carenza, so che è una delle sue priorità e che si si sta muovendo per cercare di risolverla, o quanto meno di alleviarla».

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