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Rocco Lico, giovane astrofisico calabrese (per la precisione di Mileto in provincia di Vibo Valentia) ha guidato il team di ricerca del più ampio progetto Eht che ha “sviluppato” la prima fotografia del buco nero al centro della Via Lattea

Lo si cercava da anni e non lo si è trovato fino a quando non si è intrapresa la strada della cooperazione internazionale dando vita a Event Horizon Telescope (EHT), un gruppo di ricercatori da diversi parti del mondo che uniscono risorse, conoscenze e infrastrutture per trovarlo e fargli una “foto”.

Il massiccio buco nero posto nel cuore della nostra galassia non è più una ipotesi teorica, il genere umano l’ha trovato e l’ha fotografato.

Rocco Lico, l’astrofisico calabrese che ha “sviluppato” la foto di Sagittarius A

Ed a “sviluppare” (in senso lato) il prezioso rullino è stato un ricercatore calabrese: Rocco Lico, co-leader di uno dei gruppi di analisi dati nell’Imaging working group e Information-technology officer di Eht.

La fotografia di Sagittarius A il buco nero al centro della Via Lattea

Ovviamente Rocco Lico, classe 1984, originario di Mileto in provincia di Vibo Valentia, non usa una camera oscura per lo sviluppo delle classiche foto analogiche. Per ricostruire l’immagine del buco nero (o meglio la sua ombra e l’energia che gli si sprigiona intorno visto che la forza gravitazionale è tale da impedire alla luce, alla materia o a qualsiasi tipo di radiazione di sfuggirgli) ha usato, assieme al suo team, alcuni supercomputer che hanno combinato assieme milioni di immagini fino a ricostruire lui: Sagittarius A il buco nero con massa fino a 4 milioni di volte superiore al nostro Sole posto al centro della Via Lattea.

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Rocco Lico, laureato a Bologna, all’Università Alma Mater Studiorum, in astrofisica e cosmologia ed oggi ricercatore associato all’Instituto di Astrofisica de Andalucia in Spagna, ha raccontato al Quotidiano del Sud l’importanza della scoperta ma non solo. Nelle sue parole, infatti, c’è anche una speranza per la Calabria, terra dalle infinite risorse mal valorizzate, in cui: «I talenti – ci ha raccontato Lico – non sono mai mancati, a mancare sono gli investimenti nella ricerca scientifica».

La conferenza di annuncio della fotografia del buco nero al centro della Via Lattea, Rocco Lico è l’ultimo a destra

Con il suo lavoro Rocco Lico ha contribuito a rendere visibile al mondo Sagittarius A

Cosa vuol dire per l’astrofisica mondiale avere un’immagine del buco nero al centro della Galassia?

«Una sfida senza precedenti che ha coinvolto più di 300 scienziati in tutto il mondo. Questo lavoro rappresenta lo stato dell’arte dell’astrofisica moderna, con utilizzo e sviluppo di tecnologie e tecniche computazionali all’avanguardia. Per ottenere questa immagine sono stati utilizzati telescopi sparsi per il pianeta, che per mezzo della tecnica di interferometria su lunghissima base, di fatto ci ha permesso di simulare un telescopio virtuale grande quanto la Terra. La risoluzione che l’Event Horizon Telescope riesce a raggiungere è semplicemente incredibile, dell’ordine di 20 micro-arcosecondi (equivarrebbe a poter osservare una ciambella sulla luna)».

Lei è responsabile di un team che si occupa di analisi dati e ha partecipato a tutte le fasi del processo di imaging legato alla scoperta, possiamo dire che l’immagine che oggi il pubblico mondiale può vedere di Sagittarius A nasce grazie alle sue tecniche?

«Sono contentissimo di rispondere di sì. Oltre a partecipare all’intero processo di ricostruzione dell’immagine, ho guidato, assieme a un collega cinese, il team che ha sviluppato tecniche ad-hoc di analisi dei dati per la calibrazione dei telescopi. Questo è stato uno step fondamentale che ci ha permesso di distinguere la variabilità intrinseca di Sagittario A* dalle fluttuazioni prodotte da effetti strumentali».

Dal punto di vista tecnologico e infrastrutturale che tipo di lavoro ha svolto il team di cui Lei fa parte?

«Assieme ai colleghi spagnoli, ho anche guidato uno dei team che ha prodotto e analizzato milioni di immagini con diverse combinazioni di parametri per uno degli algoritmi di imaging che abbiamo utilizzato per realizzare l’immagine che abbiamo pubblicato il 12 maggio. Per poter fare questo abbiamo utilizzato i più moderni supercomputer, sia in Europa sia negli Usa. Macchine con una potenza di calcolo inimmaginabile, che utilizzano fino a diverse migliaia di processori in parallelo».

Quali implicazioni ci potranno essere in futuro da questa scoperta e dal metodo usato per raggiungerla? EHT può aprire una nuova pagina nell’esplorazione dell’Universo?

«Il progetto EHT ha già aperto una nuova pagina nell’esplorazione dell’Universo, consentendo, per la prima volta in assoluto, di osservare direttamente la cosiddetta ombra dei buchi neri. Questo ha aperto un indirizzo di ricerca completamente nuovo, che consente di verificare la teoria della Relatività di Einstein con una precisione senza precedenti e aggiunge elementi fondamentali alla comprensione della fisica dei buchi neri. La realizzazione del progetto EHT ha richiesto anni di sviluppo tecnologico per la gestione di enormi quantità di dati, i cosiddetti big-data, che avrà senz’altro un impatto sia a breve sia a lungo termine in svariati ambiti scientifici e sociali».

I due buchi neri M87 e Sagittarius A scoperti grazie a Eht

Rocco Lico, la Calabria e il futuro

Rocco Lico, Lei è un giovane astrofisico calabrese, originario di Mileto in provincia di Vibo Valentia, che ha trovato modo di sposare la sua passione con il suo lavoro ma per farlo ha dovuto lasciare la sua terra d’origine, cosa significa per Lei oggi essere parte di questo gruppo di lavoro?

«Partire non è mai facile. Specialmente quando sei giovane e davanti a te non hai molte certezze. Dietro ogni buon risultato ci sono sempre tanti sforzi e sacrifici che, come un buco nero, spesso rimangono nell’ombra. Sono sicuramente soddisfatto del percorso che ho scelto e poter far parte di questa collaborazione scientifica mi riempie di orgoglio e soddisfazione. Lavorare e confrontarsi con esperti nel tuo campo da tutto il mondo è molto stimolante e là fuori ci sono ancora tantissime cose da scoprire e osservare».

Lei è ricercatore associato all’Instituto di Astrofisica de Andalucia in Spagna, ha mai pensato di tornare in Italia?

«Attualmente sono anche affiliato con l’Istituto Nazionale di Astrofisica italiano e rientrare in Italia è qualcosa che non ho mai escluso. Ho avuto modo di lavorare in diversi Paesi e centri di ricerca e in ogni caso ci sono dei pro e dei contro. Si tratta sempre di riuscire a trovare il giusto compromesso».

Secondo lei, la Calabria può diventare con i giusti investimenti, un polo di attrazione scientifica?

«Certamente, su questo non ho dubbi! I talenti calabresi non sono mai mancati, a mancare sono gli investimenti nella ricerca scientifica. A dimostrazione di questo, mi viene in mente l’esempio dell’astrofisica di fama internazionale Sandra Savaglio, che quando ne ha avuto l’opportunità, ha deciso di rientrare in Italia e continuare a fare ricerca dall’Università della Calabria».

Un’ultima domanda, cosa dobbiamo aspettarci in futuro da Eht?

«Posso dire che siamo solo all’inizio! Ci sono già in cantiere molti altri progetti e altri buchi neri da osservare. La tecnica osservativa che utilizziamo è in continuo sviluppo, abbiamo già effettuato nuove osservazioni aggiungendo nuovi telescopi e spingendoci a frequenze ancora più alte. Questo ci permetterà di rivelare sempre più dettagli sulla fisica dei buchi neri, e soprattutto, di capire come questi mostri dell’universo evolvono e cambiano nel tempo».

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