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Un momento del convegno

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PIZZO – Ha scelto le terrazze del Castello Murat il coordinamento vibonese di Libera per ripartire con le presentazioni di libri in una serata con il patrocinio del Comune di Pizzo.

Lo spunto per la discussione è stato dato dalla libro, edito da Rubbettino, “Lupare Rosa”.

Storie di amore, sangue e onore scritto da don Marcello Cozzi, da decenni impegnato sul versante della lotta alla criminalità.

Al dibattito, moderato dal Giuseppe Borrello, referente del coordinamento vibonese, hanno preso parte Marisa Manzini, procuratore della Repubblica aggiunto a Cosenza, Camillo Falvo, procuratore della repubblica di Vibo Valentia e lo stesso Cozzi. Il libro raccoglie le storie di donne che cercano di affrancarsi dall’oppressione dei mariti boss di ‘ndrangheta, innescando una lotta per la propria dignità e quella dei propri figli.

Una rivoluzione al femminile che mina le fondamenta del granitico mondo della criminalità e che diverse crepe negli anni ha aperto. Come ha ricordato Borrello nell’introdurre la serata, dopo le operazioni di contrasto alla ‘ndrangheta dello scorso dicembre, il vento della partecipazione collettiva alla ribellione sembrano finalmente soffiare forti.

Partendo quindi dalla ribellione che negli ultimi anni ha accompagnato le donne di ‘ndrangheta la riflessione ha riguardato più in generale il contrasto culturale alle organizzazioni mafiose che nelle donne trova oggi un via molto importante. Sono le donne infatti a sottrarre i figli ad un destino già segnato, a parlare con i magistrati raccontando le regole alle quali erano soggette.

Come ha raccontato anche la dottoressa Manzini, con il suo racconto della sera in cui incontrò Tita Buttafussa, prima che la donna decidesse di tornare però a casa dal marito, il boss Mancuso, e morire qualche mese dopo. Ma quella scelta della signora, ha rappresentato comunque una svolta. Alnche il procuratore Falco, ha sottolineato l’importanza della protocollo “libere di scegliere” che aiuta le donne a denunciare e che innesca un processo lungo, ma non impossibile da compiersi, di fine della ‘ndrangheta.

Le riflessioni finali di don Cozzi sono state un monito anche per la platea «Siamo certi di poter garantire un futuro ha chi ha quel determinato cognome? C’è qualcosa all’orizzonte per chi si ribella? Dobbiamo scommettere di più sulle persone, perché se rispondiamo no alle domande precedenti costruiamo una società soltanto sul pregiudizio, ed io non vorrei viverci».

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