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Giunge alla sua settima edizione la rassegna Teatro d’aMare, un fermento di idee, ragionamenti e spettacoli sull’era contemporanea, che si svolgerà a Tropea dal 31 agosto al 3 settembre, con una nutrita sezione di anteprime già partite da alcuni giorni. Ce la presentano Francesco Carchidi e Maria Grazia Teramo, i due condirettori artistici, che sono chiamati a decidere e gestire il fil rouge che guida ogni edizione con acume, ricerca e studio approfondito:

Su quali coordinate avere lavorato per ideare l’edizione di quest’anno?

FC: Ci siamo concentrati sul concetto di casa. Non solo nell’accezione del luogo fisico in cui si dimora, ma anche per tutto quello che dal punto di vista simbolico circonda le mura domestiche. Tutte le compagnie ospiti di questa edizione declinano a modo loro i conflitti che si nascondono nelle dinamiche familiari. Ogni compagnia lo fa attraverso la sua poetica e attraverso un’urgenza autobiografica che ha favorito la creazione dell’opera. Per quanto riguarda la co-direzione artistica è una cosa che ci capita in maniera abbastanza naturale quella di scegliere insieme il cartellone. Siamo compagni di vita oltre che compagni di teatro, quindi il fil-rouge che lega tutte le edizioni si decide tra le mura domestiche. Più precisamente quando troviamo dei ritagli di tempo per condividere le nostre fantasie sulla nuova edizione del festival. Arriva un momento in cui le nostre idee si cominciano ad allineare completamente e da quel momento in poi lavoriamo per concretizzare quelle idee.

MGT: Una volta che abbiamo inquadrato la tematica e che abbiamo scelto le compagnie che sarebbero dovute venire (o tornare) da noi, ci siamo accorti che il tema di quest’anno poteva sconfinare oltre l’arte teatrale e aprirsi ad altri mondi. Questa settima edizione del festival non presenta nel cartellone soltanto opere teatrali ma anche spettacoli di danza, mostre, un dibattito/tavola rotonda con tante realtà che programmano dal basso come facciamo noi; e poi ci saranno le residenze e un laboratorio itinerante. Cominceremo il 31 agosto e chiuderemo il 3 settembre. Tra le compagnie ospiti avremo il piacere di rincontrare la Piccola Compagnia Dammacco che chiuderà la “Trilogia della fine del mondo” con “La buona educazione” e il duo Baglioni/Bellani con Mio padre non è ancora nato, secondo lavoro della “Trilogia dei legami”. Per la prima volta a Teatro d’aMare avremo invece i Quotidiana.com con “Io muoio e tu mangi” e il duo Aiello/Greco con “Dammi un attimo”. Un capitolo a parte merita invece la compagnia Bartolini/Baronio che verrà a Tropea in residenza per tre giorni per realizzare gli “Esercizi sull’abitare”, una pratica di conoscenza del territorio che culminerà nell’esito di quest’esperienza: il “RedReading#13 – Un giorno bianco”. Poi avremo lo spettacolo di danza “Sedentario” di Lorenzo Covello, le mostre a cura di Tuttoteatro.com, Nadia Riotto, Iside Callipo, Tommaso Donato e Giancarlo Colloca, la presentazione del libro “Uno strappo nella rete” di Renato Nicolini a cura di Mariateresa Surianello e poi ci sarà “Mi riccoghiu. Laboratorio extra-vagante per viandanti e autoctoni” a cura di Ludovica Franzè e Sebastiano Sicurezza. Le location che useremo saranno: Il giardino del Museo Diocesano, la Cappella dei Nobili e l’Antico Sedile dei Nobili, tre luoghi ultra-suggestivi di Tropea.
Ci tengo a precisare che tutta questa macchina si muove grazie all’imprescindibile sostegno del Comune di Tropea e di tutti gli sponsor che hanno deciso di sposare la nostra causa.

All’interno del cartellone. spicca anche il tavolo di confronto sulla cultura dal basso nella precarietà che sempre affligge le piccole associazioni di produzione teatrale: qual è la situazione attuale e cosa si potrebbe fare per risolvere questo periodico stallo?

FC: È difficile per noi rispondere a questa domanda perché non sappiamo neanche noi di preciso cosa fare per risolvere questo stallo. Sicuramente, il seme che proviamo a piantare quest’anno deve permetterci di fare la conoscenza (attraverso la testimonianza), di tutte le realtà che operano nel territorio nel nostro stesso ambito. Lo step successivo a questo dovrebbe riguardare l’individuazione di strategie comuni per rispondere agli obiettivi che ci poniamo di anno in anno per migliorare il territorio in cui viviamo. Siccome spesso chi fa cultura dal basso fa politica attraverso la propria proposta artistica e non attraverso la lotta sui diritti, crediamo che sia arrivato il momento di provare a unirsi con altre realtà e fare rete, per supportarci a vicenda. Ci auspichiamo di cominciare a fare un po’ di rumore sulle questioni in cui ci sentiamo svantaggiati e ci auguriamo che questo primo incontro sia lo stimolo a programmare nuovi incontri, coinvolgendo altre realtà. Solo in questo modo possiamo provare a prenderci, anche in questo territorio un po’ ostile, alcuni diritti imprescindibili che dovrebbero spettare a tutti coloro che lavorano nel settore dello spettacolo dal vivo.

Il Festival è una delle derive progettuali di LaboArt, che ha già alle spalle un suo significativo percorso identitario ed artistico: qual è stata la maggiore soddisfazione raccolta sino a qui?

MGT: LaboArt ha 13 anni di vita fatti di varie fasi in cui abbiamo raggiunto la consapevolezza di quale fosse la nostra identità. Sicuramente uno degli stimoli più grandi che abbiamo e ci spinge a puntare forte su questo territorio è la formazione. Ci occupiamo di formazione tutto l’anno e quest’anno abbiamo raccolto tantissime soddisfazioni nel portare a termine i tre laboratori gratuiti che abbiamo condotto sul tema del mito del Minotauro e del labirinto.La gratuità della partecipazione ha permesso a molti più ragazzi di incrociare le nostre pratiche.
FC: Noi attiriamo in maniera naturale nei laboratori una percentuale veramente alta di emarginati o di semi-emarginati. Per noi l’emarginazione non è uno svantaggio ma linfa vitale, dato che pure noi prima di costruire qualcosa in questo territorio ci siamo sentiti emarginati. Però almeno è un mestiere redditizio dal punto di vista spirituale.  

MGT: Vedere più di quaranta ragazzi di ogni età e condizione sociale diventare un’unica grande famiglia è stata un’emozione impagabile. Credo che questo sia il principale motivo per cui continuiamo a fare teatro malgrado non sia un mestiere redditizio dal punto di vista economico.

Abbiamo attraversato un periodo storico molto duro da vari punti di vista, forse neanche del tutto concluso. Il teatro che ruolo ha in questa società frastornata? Dovrebbe puntare sull’essere ancora di più un luogo in cui si creano dei processi virtuosi di partecipazione civica a favore della Comunità?

FC: Noi chiamiamo teatro-terapia, teatro sociale o teatro di comunità il nostro modo di fare teatro. Sono espressioni che mutuiamo da altri esempi simili di teatro in giro per l’Italia; noi proviamo a fare nostre queste espressioni in modo da creare una pratica che sia d’aiuto a chi ne fruisce e sia d’aiuto di conseguenza a tutta la comunità in cui abitiamo. Quello che è stato miracoloso, ad esempio, nei laboratori di quest’anno è stato proprio questo: avevamo di fronte una generazione di ragazzi figlia di questa società frastornata. Loro hanno affrontato nel fiore della loro gioventù la consapevolezza dell’inesorabile cambiamento climatico, l’avvento delle tecnologie digitali e pure il periodo pandemico che ha accelerato ancora di più un dilagante individualismo basato sull’inaridimento dell’empatia tra esseri umani.

MGT: Il teatro in questo è stato uno sprone decisivo nel riattivare quest’empatia tra di loro che gli ha permesso di accantonare per un po’ gli smartphone e di ricordarsi di avere i cinque sensi e di vivere nel tempo presente.   

Come si crea e si consolida un pubblico teatrale o meglio come avete affrontato la questione dell’educazione del pubblico ai linguaggi del contemporaneo? il vostro pubblico da chi è mediamente costituito?

MGT: Soprattutto a Teatro d’aMare il nostro pubblico è variegatissimo. Si è formato negli anni con la dedizione per il territorio e con la perseveranza nell’organizzare iniziative con una certa costanza. Crediamo che le persone che vengono da noi, specie gli autoctoni, apprezzano la proposta che facciamo e se ne affezionano, sia i più giovani che i più anziani. Tanti nel pubblico sono stati nostri alunni e adesso si stanno formando fuori, questo dimostra come educare all’arte può contribuire pure alla costituzione di un pubblico. E poi ovviamente c’è la componente turistica che in una città come Tropea può essere decisiva in termini di numeri. L’idea di condensare le iniziative in quattro giorni e ripeterle ogni anno sempre più o meno nello stesso periodo può aiutarci a costruire anche un pubblico appassionato che sceglie di fare la sua vacanza a Tropea proprio perché a Tropea a settembre c’è Teatro d’aMare.

Qual è secondo te il futuro del teatro e in che modo il teatro può andare avanti e rinnovarsi? Lo potrebbe fare ripensando i suoi spazi, contenuti, propositi o che altro?

MGT: Sì, crediamo che il teatro debba sconfinare fuori dai suoi spazi e andare a riprendersi la platea in qualsiasi luogo si possa ricreare la magia e la sacralità che appartiene al teatro. Noi siamo giunti a questa consapevolezza da una mancanza che abbiamo nel nostro territorio: l’assenza di un teatro attivo nel raggio di 40-50km. E quindi abbiamo deciso di fare teatro dappertutto: questo sicuramente favorisce l’incontro con altre discipline.

FC: Provare a innovare i propri linguaggi sulla base dei tempi che cambiano è l’unica via d’uscita dalla tirrania dell’intrattenimento. Riuscire a emergere nonostante ci sia in atto un’egemonia dell’opera d’intrattenimento sull’opera d’arte è l’unico obiettivo che si deve porre un teatrante o più in generale un artista in quest’epoca.

Quali altri progetti di LaboArt avete in cantiere per il momento, esistono altri linguaggi in cui vi vorreste cimentare?

FC: Al momento, i linguaggi in cui ci cimentiamo ci sembrano sufficienti a darci una mole di lavoro importante: tant’è che in questi due mesi di fuoco (agosto e settembre) ci stiamo occupando sia della produzione che della distribuzione e abbiamo mandato in vacanza per un paio di mesi la formazione.

MGT: È un periodo ricchissimo di iniziative per noi. In questo momento abitiamo nello splendido Casale di Luigi Giffone, situato in mezzo a un bosco a Panaia di Spilinga. In questi giorni è in fase embrionale la genesi di un nuovo lavoro teatrale che darà seguito alla nostra attività produttiva.
E poi, sempre al Casale di Luigi Giffone, ci sarà il prefestival: Zona di Contagio estate. Dove ci soffermeremo ancor di più ad approfondire le arti non teatrali. Tra gli ospiti le danzatrici Lucia Guarino e Alessandra Cristiani, la performance Drapetes (una produzione LaboArt), i musicisti Sindi, Pakkyone e Bonzo&Belmonte e poi ancora mostre, djset ed area camping.

Un invito alla platea di lettori per partecipare a teatro d’aMare 2023?

MGT e FC: Ci auguriamo di avervi incuriosito e speriamo di accogliervi ai nostri eventi, per provare a farvi sentire a casa.

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