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L’intervento militare russo in Ucraina ha generato una crisi umanitaria ed energetica senza precedenti. Da un punto di vista di approvvigionamento ha rivelato in Italia un’ipocrisia di fondo: nulla è stato fatto, finora, per eliminare o almeno ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero e molte delle soluzioni proposte risultano spesso aleatorie. Con Eleonora Evi, europarlamentare e coordinatrice di Europa Verde, discutiamo di quanto una dipendenza energetica pesi di fatto sulla stessa indipendenza di un Paese.

On. le Evi, l’Italia importa annualmente il 77% del fabbisogno energetico: è concepibile che l’ottava potenza industriale del globo sia a tal punto subalterna a potenze straniere?

Certamente no, è inaccettabile sotto ogni punto di vista: economico, sociale, ambientale e di sicurezza. Dipendere quasi esclusivamente da paesi stranieri, e a maggior ragione da paesi antidemocratici e instabili, rivela chiaramente l’inadeguatezza e la miopia delle scelte politiche degli ultimi decenni. Anziché puntare convintamente su una reale transizione ecologica basata su efficienza energetica e rinnovabili, che garantirebbero piena indipendenza energetica e lo sviluppo di una filiera nazionale, abbiamo continuato a sperperare soldi pubblici per finanziare infrastrutture dedicate al trasporto e all’uso esclusivo di combustibili fossili, arricchendo le grandi compagnie, anche quelle di paesi autocratici come la Russia, piuttosto che sostenere i nostri cittadini e le nostre imprese nel passaggio a fonti di energia sostenibili. Tutto questo doveva essere fatto molti anni fa, ritardare ancora questi obiettivi è sconsiderato, inaccettabile e pericoloso.

Dalla Federazione Russa, maggiore esportatore energetico in Italia, importiamo il 25% delle fonti fossili (gas, carbone e petrolio). Come siamo giunti a questo, nonostante l’ipotesi di una guerra nell’est europeo fosse, tutto sommato, prevedibile?

Purtroppo le ragioni sottese a questa dipendenza sono state e sono tuttora sotto gli occhi di tutti. Conosciamo bene i legami “privilegiati” che certe frange dello spettro politico hanno sempre avuto con il governo russo, ad esempio. Questo però s’intreccia tragicamente con l’arretratezza del nostro Paese nei confronti della transizione verde e della necessità di affrontare la crisi climatica. Temi quali efficienza energetica e rinnovabili – che come Europa Verde chiediamo da sempre siano messi al centro del dibattito politico – sono stati per lungo tempo marginalizzati. E questo è al limite dell’assurdo se si pensa che ogni 1% di risparmio energetico corrisponde come minimo a una riduzione del 2,6% delle importazioni di gas in Ue. Riesce ad immaginare dove saremmo ora se politiche concretamente ambientali e progressiste fossero state adottate per tempo?

Quali saranno le conseguenze dopo l’approvazione del quinto pacchetto di sanzioni Ue, che prevede l’interdizione dell’import dalla Russia?

Dall’inizio della guerra, la Russia incassa al giorno circa 700 milioni di dollari dalla vendita del suo gas, finanziando così le atrocità di Putin. Rendere l’Italia e l’Ue indipendenti e autonome dal punto di vista energetico è una necessità morale, ambientale e sociale cui non possiamo sottrarci. È evidente che un arresto immediato e subitaneo delle importazioni di gas necessita di misure compensative che salvaguardino famiglie e imprese. La situazione che stiamo attraversando è drammatica e senza precedenti, come purtroppo si rivelano essere le risposte necessarie a fronteggiarla. Ma non c’è alcun dubbio che l’unica strada da percorrere sia quella di un urgente e completo embargo su tutte le importazioni di gas, petrolio, carbone e combustibili nucleari russi, l’abbandono dei progetti Nordstream 1 e 2 e la presentazione di un piano volto a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE nel breve termine. È questa la proposta, adottata a larga maggioranza, che come Greens/ALE abbiamo presentato al Parlamento europeo.

Nelle ultime settimane sono state formulate diverse ipotesi su come raggiungere l’autonomia energetica con centrali a fissione nucleare di quarta generazione o a fusione (ancora in fase di sperimentazione e poco convenienti) entro quindici anni, ma alcune di queste sembrano irrealizzabili in così poco tempo. Quale la sua opinione?

Innanzi tutto occorre precisare che le centrali a fissione di IV generazione sono ancora ad oggi solo prototipi che non risolvono i problemi dei rifiuti radioattivi e scorie nucleari. Gli italiani ancora oggi, per il breve periodo nucleare del nostro paese, pagano salato per la gestione delle scorie, per la gestione delle quali non si è ancora trovata una soluzione sicura e di lungo periodo. Sulla fusione siamo d’accordo nel procedere con la ricerca. Ma gli scienziati ci dicono che ci vorranno ancora decenni prima di avere risultati, pertanto oggi è inutile parlarne poiché non ci aiuta ad affrontare la crisi climatica che è in corso.

Parlare del nucleare è un modo per fermare il processo di modernizzazione dell’Italia e di tutta l’Europa. Si tratta anche di una questione di tempi e costi: un esempio su tutti è la centrale di III generazione di Flamanville, in Normandia, la cui messa in funzione, inizialmente prevista per il 2014, avverrà presumibilmente nel 2023, con un costo lievitato a 19 miliardi di euro dai 5 miliardi iniziali. Occorre anche evidenziare che lo stesso gruppo europeo di esperti di finanza verde che si è occupato di redigere la bozza della tassonomia ha bocciato senza remore l’introduzione del nucleare all’interno della tassonomia. La IEA, Agenzia internazionale dell’Energia, afferma che il nucleare giocherà un ruolo nel mix energetico del futuro a livello globale, ma in Europa vedrà una contrazione. Io ritengo che, soprattutto in Italia, per le motivazioni sopra menzionate di tempi e costi, sia decisamente più saggio investire in efficienza energetica e puntare verso il 100% rinnovabili così come indicato da diversi studi scientifici. La Germania ha definito un obiettivo 100% rinnovabili entro il 2035. La stessa IEA elabora scenari dove a livello globale le rinnovabili copriranno il 95% del fabbisogno energetico. Infine, in un contesto altamente instabile come quello bellico, il nucleare, anche quello civile, viene utilizzato in maniera assolutamente sconsiderata, mettendo a repentaglio vite umane. Questo serva da monito a chi continua a sostenere la non pericolosità dell’energia atomica che porta con sé anche gli usi militari che sarebbero devastanti per il futuro del pianeta. Non esiste nessuna centrale intrinsecamente sicura, quindi di cosa stiamo parlando?

In questo momento esistono ancora comitati, cittadini e soprattutto funzionari dello Stato che si oppongono ancora, senza proporre alternative, alla costruzione di fonti rinnovabili, come impianti eolici e fotovoltaici. Qual è la strada più sostenibile, conveniente ed efficace da seguire?

L’energia prodotta da fonti rinnovabili costa sempre meno ed è stabile, sicura e locale. È stato calcolato da Elettricità Futura che, raggiungendo nel 2030 l’obiettivo del 72% di rinnovabili, si ridurrebbe la bolletta elettrica di 30 miliardi di euro, per non parlare ovviamente della fine della dipendenza dal gas russo. Non è questo il momento di ostruzionismi che non hanno alcuna ragione d’essere.

Il nuovo decreto varato dal governo, severamente criticabile su numerosi aspetti chiave, apre un timido spiraglio per quanto concerne la semplificazione dei procedimenti di autorizzazione all’installazione di rinnovabili, che sono una delle principali barriere d’accesso allo sviluppo di una produzione decentralizzata di energia pulita. Speriamo che questo non resti lettera morta, e che anzi le altre barriere alla diffusione delle rinnovabili siano rimosse, visto che fino ad oggi sono bloccati impianti eolici e fotovoltaici per 200 GW di potenza, pari a 4 volte il fabbisogno italiano, e che in due anni si potrebbero realizzare 60 GW con 80 mila nuovi posti di lavoro.

Un ritorno al carbone per far fronte alle dipendenze ci spinge a dubitare dell’importanza e del senso di tutte le battaglie portate avanti dalle forze progressiste in questi anni: a cosa è servito parlare tanto di eco sostenibilità, PNRR, Green Deal e neutralità climatica se si è così facilmente disposti a mettere tutto in secondo piano?

Proprio su questo punto, trovo inammissibile quanto proposto dal governo nel decreto aiuti approvato lunedì sera in merito al ritorno al carbone e ai rigassificatori. Presentando le misure incluse nel pacchetto dinanzi al Parlamento europeo, Draghi ha avuto persino l’ardire di definire il suo governo un “governo ecologico, che fa della transizione verde un pilastro portante”. Si sconfina nel paradosso e nel ridicolo se pensiamo che il decreto prevede la proroga del funzionamento delle 4 centrali a carbone italiane, in deroga ai limiti sulle emissioni inquinanti, nonché massicci investimenti in rigassificatori, ben consci del fatto che il loro utilizzo ci sottometterà ad altri paesi, con buona pace della proclamata indipendenza energetica e del pericolo geopolitico che la dipendenza comporta.

Queste scelte non sono giustificabili, tanto meno in un momento storico che ci impone investimenti concreti e lungimiranti nelle rinnovabili, e soluzioni strutturali che non possono né devono essere quelle di un ritorno al passato. È per questo che ho trovato scandaloso constatare che, nel suo intervento al Parlamento europeo, il presidente Draghi non abbia mai menzionato le parole efficienza energetica e riduzione degli sprechi energetici, che sono invece il primo vero pilastro da cui partire per liberarci dalle fossili.

Considera concreta la possibilità di un conflitto militare che coinvolga il resto d’Europa, incluso il nostro Paese, e veda anche il ricorso ad armi nucleari? Come crede che le cancellerie europee stiano gestendo questa fase di geopolitica e diplomazia?

È senza dubbio un rischio. E la continua escalation della tensione nelle dichiarazioni dei leader e nelle azioni, penso al dispiegamento di mezzi militari al confine finlandese o alle esercitazioni di militari italiani in Ungheria e Bulgaria, non sono certo rassicuranti. Per questo è fondamentale che sia la via diplomatica a prevalere e ad oggi non sembra che i vari paesi stiano facendo abbastanza, in particolare l’Italia che – come ho ribadito in occasione dell’intervento di Draghi al Parlamento Ue – a dispetto della posizione di prima linea da lui rivendicata nelle trattative diplomatiche, si è finora autocondannata all’invisibilità e all’irrilevanza a livello internazionale.

In che modo l’Italia sta favorendo il dialogo e la pace in questo momento? Mettendo il segreto di Stato alle armi inviate in Ucraina? Draghi chiede un ruolo forte dell’Europa, chiede di “prendere decisioni forti e immediate”, ma la lentezza delle decisioni, come quella sull’embargo di combustibili fossili russi, gas incluso, come invece richiesto dalla maggioranza del Parlamento europeo, è indicativa di un’Italia al palo e di un’Europa assente.

Di Matteo Galasso

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