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Per il Mezzogiorno si apre ora una nuova fase ricca di opportunità. La offrono, in un piatto d’oro, il “dopo coronavirus” e i futuri stanziamenti europei. Penso che da ciò possa partire una moderna rivoluzione meridionale. Avendo però la consapevolezza della necessità di affermare una nuova e diversa stagione dei doveri. La pandemia ha tolto i veli a una fragile e precaria situazione sanitaria, denunciando i limiti dei governi regionali e la filosofia che per decenni ha accompagnato la gestione della cura della salute dei cittadini. All’efficienza dei servizi si è sostituito il maleodorante sistema clientelare con promozioni di medici, non sempre meritevoli e competenti per il ruolo che andavano ad occupare, un sistema degli appalti spesso truccati e tanto altro che ha finito per riempire le pagine dei registri penali presso i tribunali. In particolare nel Sud, il Covid 19 ha messo in evidenza carenze straordinarie e sprechi eccezionali.

A cominciare dalla rete ospedaliera fortemente penalizzata. Presidi in costruzione da decenni e mai completati, attrezzature tecniche di ultima generazione offerte alla ruggine negli scantinati senza mai essere utilizzate, condizioni igieniche talvolta terrificanti. Formiche in tour sul corpo dei pazienti e secchi per raccogliere acqua dai tetti obsoleti. Sono realtà narrate negli anni che hanno preceduto la terribile pandemia. Certo, non si può generalizzare. Vi sono, infatti, presidi di straordinaria eccellenza, con personale di grande competenza e con professionisti rispettosi dei principi di Ippocrate.

Tra queste figure è doveroso ricordare quanti hanno donato la propria vita per salvare quella altrui. Sono i protagonisti di una grande stagione dei doveri della quale oggi, purtroppo, rimane ben poco. Io penso che la sanità dovrebbe liberarsi dalla ingerenza della politica. Che molto spesso è malapolitica. Il circolo vizioso che l’ha caratterizzata finora – ricerca del consenso e la pratica delle clientele deve essere spezzato.

Non è sopportabile, ad esempio, che alla vigilia di turni elettorali si accelerino pratiche concorsuali tenute in naftalina per anni, e solo ai fini di catturare il consenso. Come è noto questo è un malcostume diffuso nelle politiche regionali. Di più. In questi ultimi decenni raramente si è registrata una sana competizione tra il pubblico e il privato. Difatti mentre le strutture pubbliche sono state impoverite per la lungaggine dei tempi di attesa per prestazioni sanitarie, il privato ha fatto la parte del leone assorbendo risorse destinate al pubblico. Con una opportunistica politica del territorio la quale più che potenziare strutture locali, spesso chiuse per necessità di bilancio, si è data ampia possibilità attraverso il convenzionamento regionale e quindi pubblico, ha favorito gestioni private. E così il business è bello e fatto. Non si tratta di sollevare polemiche antiche tra il ruolo del pubblico e quello del privato, semmai di evidenziare la sproporzione dell’impiego delle risorse pubbliche che finisce per indebolire quel servizio al cittadino garantito dalla Costituzione.

La cartina di tornasole per una verifica di un cambiamento nella gestione della sanità avverrà con l’ utilizzazione dei fondi europei. Finiranno nelle tasche dei poteri criminali con un patto scellerato con la classe dirigente politica che anche per questo sopravvive ancora? O, al contrario, forniranno un’irripetibile occasione per entrare nel ventre molle di un settore notevolmente discusso e talvolta infetto per il marcio che lo rode? Il tempo delle scelte non è lontano. Da quelle che si faranno si capirà se il Sud del “Gattopardo” è ancora in salute o se sarà sconfitto da una nuova classe dirigente.

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