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Ma davvero il Natale vale più della vita umana? Come è possibile immaginare che dopo i tanti sacrifici richiesti per frenare il Covid-19, d’improvviso, piegandosi alla logica del guadagno e del godereccio, si possa dire “liberi tutti” sia pure rispettando le regole? Era già accaduto nella scorsa estate quando i soloni della medicina dagli schermi televisivi annunciavano che il peggio fosse passato, smentiti poi dai continui decessi superiori a quelli della prima fase.

Lezione non recepita e rieccoci a veder commettere lo stesso errore, proprio ora che il maledetto virus rallenta la sua corsa mortale. Si dirà: siamo già abbastanza incupiti ed è ora che un rilassamento non può che fare bene. L’impressione che si ha, invece, è che anche il nostro sia un paese senza regole. O meglio: confuso, che si regge sulla improvvisazione, che vuol mantenere tutto unito mentre fomenta la divisione. Non rispettando i poveri, gli esclusi, gli anziani, le tante fragilità esistenti ma nel contempo lasciando spazio agli sci e alle settimane bianche di chi può permetterselo. Oggi è in crisi il concetto stesso di umanità con i suoi valori, a cominciare dalla solidarietà che è cosa ben diversa dai bonus promessi e non ancora concessi. D’altra parte è sotto gli occhi di tutti la vicenda dei colori delle zone che cambiano solo per gli effetti delle restrizioni che ora si vogliono allentare. In realtà il premier Conte è prigioniero di se stesso. E’ ricattato dalle Regioni i cui governatori, nemmeno d’accordo tra di loro, puntano ad ottenere di più in una logica federalista che offende il dettato costituzionale.

Ogni giorno si assiste a scontri istituzionali che minano la già traballante democrazia. Regioni contro governo, sindaci contro Regioni, larghe fette di comunità contro i rappresentanti degli enti locali.

L‘Italia, purtroppo si è rotta, nonostante i generosi e responsabili appelli all’unità del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Che Dio ce la mandi buona.


Questa settimana è iniziata con la rievocazione del Terremoto a distanza di quaranta anni da quel tragico evento. (1980-2020). Dossier televisivi, speciali notturni, edizioni di volumi e saggi vari, ricordi anche di chi non era ancora nato o non aveva avuto alcun ruolo nei tragici giorni che seguirono quella malanotte: in tanti si sono sbizzarriti in commenti tra la obiettiva riflessione narrativa non senza eccessi di folclore, a volte finanche pietistico.


Come è nello stile della mia decennale attività giornalistica il quotidiano ha aperto le sue pagine a tutte le riflessioni che sono giunte in redazione, contrario ad ogni forma di censura e rispettoso del diritto di replica quando esso veniva richiesto. E’ accaduto che un intervento pubblicato nel corso della settimana non sia stato di gradimento dell’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita che indignato e offeso ha ritenuto di interrompere bruscamente una telefonata con il sottoscritto. Non entro nel merito. Ma non era lui, De Mita, l’uomo del dialogo e del confronto? A volte la vita fa brutti scherzi. In ogni caso, ribadendo il dovuto rispetto che ho per lui, che non è sudditanza, ma confronto costruttivo, lo invito, se lo ritiene, a replicare su questo giornale a colui che lo ha inteso offendere utilizzando fatti storici tra passato e presente e a chiarire i fatti. Chiedo scusa al lettore per la opportuna digressione e torno alle vicende del terremoto dell’80.


Io c’ero quella malanotte. Con Rosetta D’Amelio a Lioni a scavare a mani nude per tentare di salvare la vita di persone. Ci sono stato sempre per 40 anni nei paesi del cratere e non solo.
Non nego (sarebbe impossibile) che la ricostruzione sia stata quasi completata. C’è voluto uno sforzo comune: Istituzioni, classe dirigente politica, sindaci, volontari, ecc. Non dimentico, però, gli sprechi. A cominciare dai fondi gestiti per arricchire imprese improvvisate e geometri amici degli amici. Quando i fondi si sono esauriti si sono registrati centinaia di crac.
Non dimentico neanche, come ebbi modo di scrivere di fronte alle case rase al suolo, che furono gravi le responsabilità di chi alzò quei palazzi che poi si sfarinarono (“Licenza di uccidere, cemento assassino” nella prima pagina del famoso “Fate presto”.) Affermo anche che l’atteso “risorgimento industriale” è fallito, salvo rare eccezioni e con gravi responsabilità dello stesso sindacato.

Ne è innegabile che vi fu il patto scellerato per i ventimila alloggi a Napoli (chi lo fece?) che garantiva politica, camorra e consorzi edili. Fondi che furono sottratti alla mia\nostra Irpinia e alla sua popolazione.
Tutto male? No, assolutamente. Tanto è stato fatto per la mutata condizione civile e sociale.
Ma vivaddio, quaranta anni sono quasi un quarto di secolo e forse si poteva avere qualcosa in più. Si potevano organizzare le risorse per evitare lo spopolamento delle zone interne oggi dissanguate da questo fenomeno. Si poteva fare in modo che le case ricostruite con moderne tecnologie potessero essere abitate dai tanti giovani che invece sono andati e vanno via ai quali la politica nazionale, meridionale e locale avrebbe dovuto guardare con più attenzione.
Si poteva, anzi si doveva . Ma questo è sfuggito al rito della celebrazione e alla sociologia che manipola la realtà

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