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Di Diego Infante

 Sintomatico di una disillusione crescente dell’homo oeconomicus, è il sempre maggiore interesse del pubblico italiano per la figura di Emil Cioran. A essere proposta per la prima volta è l’opera del saggista tedesco Bernd Mattheus, che del pensatore romeno fu traduttore: “Cioran. Ritratto di uno scettico estremo”, (trad. it. di Claudia Tatasciore, pref. di Vincenzo Fiore, Lemma Press). A sfilare in un unico piano sequenza sono le vicende umane di colui che fece dell’aporetica la cifra paradossale della propria coerenza. Già perché Cioran non fu soltanto lo scettico estremo («finché c’è vita, non c’è speranza» scrive Fiore nella prefazione), il misantropo che tuonava contro l’«ideocrazia» e la «menzogna del progresso», pervicace critico della democrazia liberale e delle illusioni di libertà: in ultima istanza, fu colui che tentò di liberare se stesso dalla schiavitù del vivere. Erroneamente interpretato come apologeta del suicidio, Cioran ha dimostrato come lo scetticismo più cupo possa rasserenare, se è vero che molti furono i «lettori cui aveva indirettamente salvato la vita». Come afferma il filosofo, è infatti «l’idea (non l’atto!) di poter porre fine alla mia vita che mi aiuta a rimanere in vita». Al fondo del dettato cioraniano è una coerenza inattaccabile: una lucida constatazione della debolezza umana, che dapprima lo fece teorico dell’utopia, tramite la militanza nella «Guardia di Ferro» (poi rinnegata), infine dell’atopia(nel suo significato greco di “fuori posto”), che lo consacrò quale «apolide metafisico». Resta la difficoltà di conciliare una simile posizione con la vita concreta: come egli scrive, «essere liberi significa esercitarsi a non essere niente»; la vera sovranità(concetto che condivide con Bataille) sussiste giustappunto nell’astenersi da qualsivoglia giudizio o attività. E come metterla allora con quei «quindici cadaveri», ovvero i suoi libri, che egli ebbe a pubblicare? «Destrorso di sinistra», «misantropo cordiale», «nichilista positivo»: insomma, ce n’è abbastanza per parlare dell’ottimismo di un pessimista; d’altra parte, se nascere è un inconveniente, è anche vero che per poterlo affermare bisogna pur nascere. Ecco la grandezza di colui che sentiva l’Asia muoversi nelle proprie vene: a risuonare è l’ebbrezza «del pensiero selvaggio» che si fa beffe del principio di non contraddizione, e che finisce per dissolvere, come una folata di vento della steppa, l’apparente inconciliabilità tra aporia e coerenza logica. Del resto: non è la vita stessa tutto e il contrario di tutto, «al di là del bene e del male», aporetica fin nel midollo? 

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