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Prendiamo a volontà, poesia, fantasia, energia, sensibilità, magia, idee, emozione, divertimento, immaginazione, sorpresa, colore, musica, inventiva, gioco, creatività, passione, incanto, malinconia, stupore e cuore. Misceliamo, amalgamiamo amorevolmente, recuperiamo fiabe, sogni, speranze, e assistiamo all’incantesimo.Impalpabile e leggero, come un soffio fresco , questo evanescente  clown, fondendo tradizione e innovazione in una comunicazione colorata e innocente, ci guarda con occhi sgranati e persi nel vuoto, e con ammiccamenti timorosi mostra la paura di trovarsi lì, sul bordo del palcoscenico, smarrito, insicuro, meravigliato per gli applausi e bloccato, incapace di superare il misterioso ostacolo: un palloncino bianco e tondo “simbolo giocondo del mondo”.
E quale migliore rappresentazione del suo mondo stralunato, che il palloncino bianco dell’ infanzia, bianco come il bianco candido della sua amata Russia, bianco come quella neve “abito da sposa, foglio bianco, prima che un pittore cominci a disegnare”, ma anche madre di paura e di orrore, quando dà spettacolo nella violenza che conquista e domina i  sensi, e nelle notti di silenzio, rotto solo da mille pensieri. E’ “l’aperto”, dominato dal tempo, mutevole, inclemente e magico , magnificato dal sipario che semplicemente non c’è, “non si è mai chiuso, non si è mai aperto” su palco e platea, un insieme, dove tutto accade e accade di tutto. Si parte, e si viaggia a bordo di un treno sferragliante di clown-vagoni che, girando intorno al mondo e alla fantasia, si trasforma in zattera, mutuata da un letto rosso e da una scopa-albero e da un lenzuolo-vela, minacciata da un clown-pescecane che nuota e abbaia. La fantasia galoppa e accende il pubblico trasformandolo in parte integrante dello spettacolo, come ostacolo da scavalcare, spazio da attraversare, da possedere, da irretire in una fibrillazione di luci, musiche dirompenti, clown arrampicati sulle poltrone, ombrelli che dispensano pioggia, mentre tutto avvolge tutto, commedia, tragedia e farsa, l’assurdo e lo spontaneo. Ma non basta, ed ecco che un piccolo, insignificante filamento su una quinta, infastidendo l’attore lo spinge ad eliminarlo tirandolo, creando così una immensa ragnatela che, sollecitata e suffragata dal pubblico, si espande nel possesso della platea. E’ un teatro semplice.
Un teatro che gioca, richiamando la Commedia dell’Arte, la voglia di divertirsi e divertire con piccoli e semplici elementi che ricreano nella nostra immaginazione, paesaggi, residenze, stazioni, mare in tempesta. Si ride con poco. E si pensa, quando, a luci spente, rivive nella mente il visto e il vissuto: uno spettacolo intimista, leggero, minimale ma profondo nel riflesso di pensieri e ricordi, tenerezza, gioia e meraviglia: come per il surreale amoreggiare con un attaccapanni che, leggero e frizzante proposto da Fred Astaire, diventa struggente poesia. E mentre un mimo trascina casette-bagagli, e comignoli partoriscono volate di fumo, una palla di neve rotola, ingigantisce, esplode e arriva la tempesta: un che di pazzesco, sbalorditivo e inaspettato. Tutta la sala è invasa e coperta da “fiocchi di neve”, il vento e il gelo si intrufolano nei palchetti e in galleria, ribadendo la piccolezza dell’umano di fronte alla Natura e enormi palle colorate, sparpagliate e dirottate tra pubblico ed artisti, si esibiscono piroettando. Sorrisi, risate e “bambini” dai sette ai settant’anni si impadroniscono di questa sonora immaginazione. Nessuno va via e lo show continua. Quasi senza orario. Finché c’è pubblico c’è spettacolo. E c’è Slava che ammira quello che ha creato. Imperdibile.
      

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