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NAPOLI – Lo spazio davanti al Palazzo di Giustizia, al Centro Direzionale di Napoli, dal dodici dicembre è Piazza Marcello Torre, Sindaco di Pagani. Penalista insigne prestato alla politica. Ucciso l’11 dicembre 1980 da un killer della camorra che faceva capo a Raffaele Cutolo.
Alla cerimonia hanno preso parte, fra gli altri, il sindaco de Magistris e il Procuratore Generale, presso la Corte di Appello di Napoli, Riello. Dure critiche ha indirizzato il primo cittadino del capoluogo della Campania all’assenza della pubblica amministrazione di Pagani.
L’ostinato rispetto della legalità, la trasparenza degli atti pubblici costarono la vita al Sindaco Marcello Torre.
Prima di cadere sotto i colpi d’arma da fuoco degli esecutori materiali del delitto, Marcello Torre aveva scritto di proprio pugno una specie di testamento politico in cui si leggono frasi come: “temo per la mia vita… non ho alcun interesse personale… Sogno una Pagani civile e libera”.
Un messaggio chiaro ed inequivocabile diretto a chi, dietro le quinte, manovrava le fila della vendetta contro il Sindaco Torre che si batteva contro il malaffare. Quale? E’ ancora da scoprire!
Inizialmente, qualcuno ipotizzò che il delitto era da collegarsi alla fiera opposizione del Sindaco Torre alla gestione della camorra dei finanziamenti per la ricostruzione del post terremoto. Una pista incredibile e “fuori tempo”!
Infatti, il delitto avvenne quando ancora non si sapeva se il Governo finanziasse la ricostruzione.
Qualche tempo prima del suo sacrificio Marcello Torre fu ospite della trasmissione televisiva “Incontrismo sul tre” in onda dagli studi RAI di Napoli. Come coautore della trasmissione gli raccontai inutilmente di essere cauto.
Fu un fiume nella difesa della “sua Pagani” lasciata indifesa dalle istituzioni centrali. Affermò che Pagani era ormai diventata la piazza dei trafficanti di droga. Fece anche riferimento ad una Chiesa sconsacrata in cui si riuniva con alcuni giovani e tutti insieme erano contro lo spaccio di droghe.
Anche in quella occasione Marcello Torre fu una “vox clamantis in deserto”! Presumibilmente, aveva scoperto il patto scellerato tra la camorra e personaggi che si nascondevano dietro il paravento del perbenismo.
Non è la lotta ai venditori di morte la causa primaria del delitto. La logica dice che vi sono altre concause tuttora avvolte nel mistero. La “verità vera” – tanto per usare il linguaggio curialesco – è ancora lontana.
Raffaele Cutolo negli atti giudiziari è e, forse, rimarrà per sempre il mandante “vero” del delitto Torre.
Ma è lecito domandarsi se dietro a Cutolo si cela qualche colletto bianco, in veste di puparo, penalizzato negli affari sporchi da Marcello Torre.
Il dubbio l’ha espresso la figlia di Torre, Aurora. Ma ancora prima di lei le evidenziò qualche cronista. E non fu certo un caso che il già Procuratore delle Repubblica di Salerno, Corrado Lembe, un magistrato che di camorra e di delitti correlati, se ne intendeva, riprese il fascicolo con la scritta “Delitto Torre”.
Ma chi era Marcello Torre? Uno dei principi del Foro di Salerno, ma anche un Sindaco che nell’amministrazione del suo comune pretendeva trasparenza e non amicizia mefitiche. Era anche un democristiano convinto e, nel contempo, un “aperturista” verso altri partiti. Era certamente scomodo ai “signori” della DC.
Una situazione che amareggiava Marcello Torre. Si trascinava dietro una delusione dopo l’altra. Uno status che indusse prima il PCI e poi il PSI a proporgli di lasciare la Dc per una candidatura sicura al Senato. Marcello Torre, però, voleva combattere all’interno della DC per renderla più “moderna” e vicina alla precarietà che viveva la società civile. Rifiutò con garbo. Il suo assassinio valse a far dormire sonni tranquilli a chi era nel mirino del Sindaco incorruttibile che tutto vedeva.
Diversa è la storia dell’avv. Dino Gassani, coralmente riconosciuto come l’erede naturale dei grandi penalisti salernitani e non solo.
Fu ucciso la sera del 21 marzo del 1981 da sicari della camorra unitamente al fido segretario Pino Grimaldi, testimone scomodo dell’agguato. Alla richiesta di far ritrattare la “chiamata in correità” della banda che aveva rapito il banchiere Amabile, rispose con un netto rifiuto scrivendo prima di accasciarsi sulla scrivania in un mare di sangue “non posso perdere ogni dignità”. Scelse la morte al tradimento del mandato difensivo.
Il Presidente della Repubblica Napolitano nel conferirgli la medaglia d’oro alla memoria ha definito Dino Gassani “Eroe della Toga”.
Dopo 38 anni il nome di Dino Gassani non è entrato ancora nella toponomastica cittadina. Commenti? Non servono! Vale, invece, ricordare il detto latino “sic transit gloria mundi”.

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