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NAPOLI – Israele e Palestina seduti allo stesso tavolo, trenta ministri, quaranta delegazioni di tutti i paesi del Mediterraneo che discutono, propongono e alla fine approvano all’unanimità una dichiarazione d’intenti, dodici pagine fitte fitte che li impegnano a rivedersi a scadenze fisse, istituiscono la capitale della Cultura del Mediterraneo, si stringono in un’azione comune per la protezione del patrimonio, aiuti alla circolazione dell’arte e degli artisti. A Palazzo Reale a Napoli si spengono le luci sulla due giorni di summit e il ministro Franceschini, che quest’iniziativa l’ha fortemente voluta, non nasconde la soddisfazione.

«Siamo orgogliosi di aver aiutato questo processo che comincia oggi », sorride forse un pò stanco in conferenza stampa mentre con toni diplomatici attribuisce all’Italia «non la leadership ma un ruolo di servizio». C’è l’orgoglio di aver organizzato un incontro che non ha precedenti, di aver lanciato «un segnale forte». Il fatto «che tanti paesi, anche con rapporti complicati tra loro, anche ostili, abbiano accettato di venire qui, confrontarsi e alla fine applaudire un documento comune – dice – è il segno che la cultura è veicolo di pace ». In tanti, nelle riunioni plenarie del mattino, avevano ricordato la guerra «che infuria alle porte dell’Europa», il momento tragico che sta vivendo il mondo. Lo aveva fatto la giovane ministra francese Rima Abdul Malak, fiera del suo nome che sa tanto di Mediterraneo, lo avevano ripetuto via via un pò tutti, a partire dai paesi balcanici schierati al tavolo.

“Proprio pensando al momento tragico che stiamo vivendo, credo che questo nostro incontro sia stato importante, abbia dato un segnale forte» ripete il ministro. Che invita a non sottovalutare i contenuti, l’avvicinamento riuscito su temi davvero delicati come il contrasto ai cambiamenti climatici che minacciano la vita delle persone e l’economia, ma anche il futuro dei siti archeologici. Su questo punto ad esempio è passata l’idea di cogliere l’occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP 27) a Sharm El-Sheikh in Egitto “per mettere la cultura al centro della politica climatica».

“Per gli estremi del meteo stiamo perdendo posti bellissimi” aveva avvertito severa la principessa Dana Firas, presidente del Petra Trust. I siti patrimonio Unesco, denunciava accanto a lei la rappresentante dell’Icomos, «non possono resistere ad un innalzamento della temperatura superiore a 1,5 gradi». E ancora, è passata l’idea di un impegno comune per la protezione dei beni culturali sul modello dei Caschi Blu della cultura lanciati qualche anno fa dall’Italia. Dall’Icom, l’associazione che riunisce i musei del mondo, la richiesta di rispettare le convenzioni internazionali, ovvero gli strumenti che già ci sono per proteggere il patrimonio culturale anche da traffici e conflitti e che troppo spesso sono rimasti lettera morta: pure su questo si è deciso un impegno. «Questo di Napoli è un primo passo», insiste diplomatico Franceschini, felice pure che sia passata l’idea di una capitale della cultura del Mediterraneo che verrà nominata a rotazione, spiega, da una sponda all’altra del Mare Nostrum.

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