X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

 Ad insospettire finanzieri, impegnati in una verifica fiscale, era stato Il trasferimento – nel 2015 – della sede legale di un’impresa edile da Canegrate, in provincia di Milano, a Sala Consilina, nel Salernitano, presso lo studio di un commercialista. Una circostanza considerata anomala dagli investigatori del comando provinciale della Guardia di Finanza di Salerno. Soprattutto perché l’originario amministratore di Legnano (Milano) aveva intestato la società a due persone, probabili prestanome, di cui uno già noto alle forze dell’ordine, con precedenti anche per associazione a delinquere e autoriciclaggio. Così il gip di Lagonegro ha firmato il decreto per l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, per oltre un milione e mezzo di euro, nei confronti di sei indagati a vario titolo per diversi reati di natura tributaria. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, nonostante il cambio di domicilio, l’azienda avrebbe continuato a emettere documenti fiscali con la vecchia intestazione, che riportava l’ubicazione nella cittadina dell’hinterland milanese, «così da non destare sospetti nella clientela». 

Al contempo, il titolare di fatto aveva avviato in Lombardia due nuove imprese nel settore. Una mossa che, per la procura, sarebbe servita a «schermare l’operatività di quella cartolarmente ceduta», che versava da tempo in una situazione di grave dissesto finanziario per i debiti accumulati con il Fisco. Dall’incrocio della documentazione acquisita con gli accertamenti bancari svolti, i finanzieri di Sala Consilina hanno ricostruito che l’impresa sottoposta a verifica sarebbe stata svuotata di tutto il patrimonio, mediante la cessione fittizia di beni strumentali e rami d’azienda alle due società neocostituite. Inoltre, i titolari di queste ultime, sotto la “guida tecnica” del professionista di Salerno (L.C., classe ’48), avrebbero trovato una serie di escamotage contabili per risolvere i problemi con il Fisco. In pratica, secondo gli inquirenti, «ricorrendo all’emissione e all’utilizzo di fatture false, gli indagati riuscivano a documentare sistematicamente crediti d’imposta in realtà del tutto inesistenti, con cui annullavano le esposizioni debitorie verso lo Stato, compresi i contributi previdenziali ed assistenziali dei lavoratori dipendenti». Il personale impiegato nelle aziende lombarde era rimasto in carico alla società del Vallo di Diano che, però, non avrebbe sostenuto alcun esborso grazie alle compensazioni definite «artificiose». Il gip del tribunale di Lagonegro, quindi, ha disposto il sequestro preventivo di beni nella disponibilità dei sei indagati e delle tre società, fino alla concorrenza dell’importo di 1,7 milioni di euro, così da garantire tutti i crediti erariali insoluti emersi nello sviluppo delle indagini. Le ipotesi di reato variano dall’indebita compensazione con falsi crediti alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, passando per l’emissione e l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Accuse per le quali – ricorda una nota del procuratore capo di Lagonegro, Gianfranco Donadio – si rischiano condanne fino a 8 anni di carcere.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE