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Alterno momenti di ottimismo a sano scetticismo, trovando poi nel mezzo, nell’equilibrio e nella misura, la chiave per affrontare e leggere quel che abbiamo di fronte (e quel che ci aspetta) con fiducia ed entusiasmo. Alterno l’interesse a ciò che oggi possiamo vedere in streaming con una facilità assoluta, alla preoccupazione che ciò possa cambiare radicalmente il nostro modo di fruire il prodotto audiovisivo.

Mi confortano le parole di chi parla di magia del cinema, di esperienza condivisa, di valore culturale. Le sottoscrivo e non le avverto come retoriche. Però poi penso che 20 anni fa il cinema l’ho imparato a conoscere e ad amare all’università stipato come un pollo in batteria nella videoteca del dipartimento di Spettacolo, ingurgitando tutto l’Espressionismo Tedesco, i grandi russi, la Nouvelle Vague e il Neorealismo davanti uno schermo di 12 pollici, di quelli che sembravano forni a microonde con il videoregistratore incorporato.

E allora penso che se generazioni si sono appassionate al cinema da uno schermo poco più grande di un tablet, perché allo stesso modo non potrebbe ricapitare oggi con un’offerta senza eguali? Con la differenza di una fruizione ben più comoda. Siamo di fronte ad un’occasione per allevare nuovi appassionati, al tempo stesso viviamo il pericolo di perdere per sempre spettatori affezionati alla sala.

Io penso che non sarà così facile far tornare la gente al cinema. Perché il competitor non sono solo le piattaforme che non vorranno perdere abbonati. C’è un settore che vorrà recuperare – legittimamente – uno spazio perduto (e necessario) andando a rosicchiare la casella del tempo libero delle persone: la musica.

Musica non sono solo i mega concerti estivi con i grandi del rock. Sono il jazz club intimo con cenetta, la coverband al pub, gli showcase in libreria. La musica, governata anch’essa da major (in parte le stesse, vedi Universal) sarà un ulteriore nemico della sala. Il cinema, purtroppo, deve mettere in conto un “tutti contro tutti” fratricida.


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