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Ezio Greggio

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«Il lavoro per il Festival prosegue dodici mesi l’anno, ma è in questi giorni che l’impegno diventa immenso». Ezio Greggio ci risponde al telefono da Montecarlo, trafelato ma sempre disponibile e allegro, mentre sta mettendo a punto gli ultimi preparativi alla vigilia del Montecarlo Film Festival De La Comédie, che inizia oggi fino al 30 aprile nella sede del Grimaldi Forum del Principato di Monaco.

Giunta alla 19ª edizione, quest’anno la kermesse, che vede come presidente di giuria il due volte premio Oscar Paul Haggis, ha otto film in concorso, un fuori concorso e due eventi speciali, entrambi made in Italy: l’opera prima di Claudia Gerini Tapirulàn e Lasciarsi Un Giorno A Roma di Edoardo Leo. Il Montecarlo Film Festival De La Comédie è oggi tra i più importanti Festival dedicati alla commedia e ha contribuito al processo di rivalutazione di questo genere cinematografico. Il merito va ad Ezio Greggio, che ne è direttore, nonché a Mario Monicelli, che insieme a Greggio nel 2001 ha ideato questo Festival.

Come nasce la collaborazione con Monicelli?

«Nasce da un’amicizia. Ci vedevamo talvolta a Roma con la nostra amica comune Elizabeth Missland, della stampa estera in Italia, che è ancora oggi una delle collaboratrici del Festival. Mario mi diceva sempre che era un peccato che la commedia non avesse un luogo in cui essere celebrata. Nei Festival veniva anzi snobbata… Uno smacco, perché la commedia è il genere più amato dal pubblico e ha fatto conoscere l’Italia cinematografica nel mondo».

Così avete deciso di trovare voi un luogo in cui celebrarla…

«Andai a parlare con il Principe Ranieri, con cui avevo ottimi rapporti, e con Alberto di Monaco. Quando proposi di organizzare un Festival della Commedia, con Ranieri ci fu uno sketch che è simpatico ricordare».

Prego.

«Mi disse: “Deve promettermi che nel giro di pochi anni il Montecarlo Film Festival diventerà più grande di Cannes”. Io mi inginocchiai e risposi: “Promesso”. Al che lui si mise a ridere e mi abbracciò. Un abbraccio lo ricevetti anche da Monicelli quando andai a riferirgli che avevamo trovato a Monaco un luogo, una “chiesetta” in cui celebrare la commedia. Posso dire che ormai la “chiesetta” è diventata una “cattedrale”».

Una “cattedrale” dove accorrono in tanti.

«Il nostro è oggi uno dei Festival più considerati. Negli anni hanno partecipato tanti personaggi celebri e la qualità dei presidenti di giuria che si sono susseguiti è davvero invidiabile. Con Mario (Monicelli, ndr) abbiamo avuto il merito di sdoganare questo genere nei Festival internazionali, dove il sorriso nei film era considerato sinonimo di disimpegno. E invece oggi le commedie vanno ai Festival, ricevono premi, hanno sezioni dedicate».

Lei ne sa qualcosa: nel 2011 ha portato il suo Box Office 3D – Il Film Dei Film al Festival di Venezia.

«Pensi che è stato il film che ha avuto l’incasso più alto tra gli italiani presentati quell’anno a Venezia».

Insomma siete riusciti a diradare il clima snob che circondava questo genere.

«Il clima in effetti è cambiato. A proposito del Festival di Venezia, nel 2005 andai a consegnare un Tapiro d’oro a Marco Müller perché il Festival trascurava la commedia. E Marco anni dopo, parlando delle tante commedie presenti a Venezia, disse: “Così l’amico Greggio smetterà di portarmi i Tapiri”. E aggiunse: “Ha ragione, la commedia non è un genere di serie B”. Fu una dichiarazione importantissima, che teniamo incorniciata nei nostri uffici. Non solo a Venezia, ma anche a Cannes, a Berlino, agli Oscar si è capito che il cinema per essere di qualità non deve essere solo incomprensibile e strappalacrime, ma può anche far sorridere».

Prima la pandemia, ora anche la guerra. In un contesto storico come questo, quale valore assume far sorridere il pubblico?

«Un valore sociale molto forte. Il messaggio che lancia il nostro Festival è che la speranza non deve mai mancare. E la speranza è legata al sorriso. Il proverbio dice “the show must go on”, ma io direi “the life must go on”. Noi che facciamo questo mestiere abbiamo il dovere di continuare a far sorridere il pubblico. Non solo: i Festival – tutti – hanno l’importante compito di far riabituare le persone a frequentare le sale dopo due anni di abbandono a causa del Covid».

Tra gli otto film in concorso ce n’è uno italiano: Una Boccata D’Aria, di Alessio Lauria. Com’è cambiata la commedia italiana negli anni?

«È cambiata com’è cambiato il Paese. L’Italia del secondo dopoguerra, raccontata da Sordi, Tognazzi, Manfredi, Gassman, dallo stesso Monicelli, Risi, Steno è diversa dall’Italia di oggi. Ed è diversa anche da quella del periodo transitorio di Troisi, Verdone, Benigni, e di me stesso, Boldi, Jerry Calà, Christian De Sica. Ma poi la commedia è un po’ com’era la Democrazia Cristiana».

Digressione politica?

«No, è una metafora: la Dc conteneva correnti che andavano dalla sinistra all’estrema destra. E pure la commedia è così: abbraccia un mondo variegato. Quando la racconti in maniera più farsesca, come fa ad esempio Checco Zalone, o in maniera più veritiera, come ha fatto Gabriele Muccino, racconti comunque l’Italia. Le trasformazioni, storiche o stilistiche, sono inevitabili».

A proposito di trasformazioni, come vede il futuro del cinema?

«Purtroppo in questi due anni la gente si è disabituata a frequentare le sale. La tv e le piattaforme l’hanno fatta da padroni. Ma confidiamo negli aiuti dello Stato per mettere i gestori delle sale in condizione di sopravvivere e per promuovere una cultura cinematografica. Perché i film vanno visti prima di tutto in una sala e non in un televisore di casa o addirittura su un telefonino».

Da dove bisognerebbe iniziare?

«Dalle scuole, portando in sala e al teatro gli studenti, già dalle elementari. Se non abituiamo i più piccoli alla cultura cinematografica e teatrale, loro non capiranno mai che un film o uno spettacolo sono meglio di un video di pochi secondi diffuso sui social. Dirò di più: vorrei cogliere l’occasione per lanciare un appello: occorre portare le scuole nei Festival e i Festival nelle scuole, così che ci sia una combinazione vincente. È anche in questo modo che si costruisce una società migliore».


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