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Silvio Berlusconi

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Addio a Silvio Berlusconi: è la fine di un epoca per la Repubblica che avvia una nuova fase, adesso la storia d’Italia cambia

Alle 9.30 in Italia cala il silenzio: è morto Silvio Berlusconi. Era tornato lo scorso venerdì al San Raffaele di Milano, dopo un lungo ricovero – di 45 giorni – terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una forma di leucemia.

LE MILLE VITE

Il Cavaliere, dunque, se ne va. Se ne va da azionista di minoranza della coalizione di centrodestra, dopo essere stato l’ideatore. Se ne va non più da presidente del Milan, ma da presidente del Monza. Se ne va dopo aver vissuto più vite. È stato tutto: cantante di cabaret quando portava i calzoni corti; imprenditore; presidente di una squadra di calcio che è riuscito a vincere tutto; editore televisivo, proprietario della Mondadori e della Rizzoli; attivo nella grande distribuzione – fu sua la Standa; politico, riuscendo a governare più di Andreotti e De Gasperi; fondatore di un partito, deputato, senatore, europarlamentare, quattro volte primo ministro; miliardario; indagato; condannato; e per finire auto-candidato al Quirinale a 86 anni. In fondo, voleva diventare il nuovo re d’Italia, un po’ come lo fu in un certo senso Gianni Agnelli tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90.

Diceva sempre di lui Fedele Confalonieri: «Finirà nei libri di scuola». E il suo nome è già nell’enciclopedia Treccani e in tutti i manuali di storia sui quali oggi studiano gli allievi delle scuole superiori.

La vita del Cavaliere, insomma, non si può certo racchiudere in un centinaio di righe. Anche perché nessuno pensava più che potesse morire. Il suo medico personale, il catanese Umberto Scapagnini, lo definì una volta «tecnicamente immortale». E in fondo, lui, il Cav, aveva creduto a questa affermazione.

Era milanese, figlio di Luigi e Rosa. Ambizioso fin da bambino, con un’aneddotica sugli anni della scuola che superava quella di Albert Einstein. La mamma Rosa raccontava: «La maestra mi diceva: “Le’ è pussè bravo lui di me”. Sempre stato molto intelligente».

Un’intelligenza che non gli ha mai posto limiti. Al punto da far dire a chi lo ha conosciuto: «Silvio era un pazzo: basta vedere quello che ha combinato con la televisione commerciale, con il Milan e con Forza Italia».

LA DISCESA IN CAMPO

La discesa in campo non è stata il 26 gennaio del 1994 con il famoso discorso «L’Italia è il Paese», ma forse il 18 luglio del 1986, quando atterra con un elicottero all’Arena di Milano per la presentazione del Diavolo rossonero. Raccoglie un Milan travolto da anni bui e lo riporta in auge con Arrigo Sacchi, gli olandesi, il bel gioco, Paolo Maldini e Franco Baresi. È un capolavoro, al punto da auto-definirsi: «Sono il presidente di club più titolato della storia mondiale del pallone».

E cosa dire della televisione commerciale, di Mediaset. È stato il riferimento di più generazioni. Chi non ha visto i cartoni animati, le soap, i quiz di Mike Bongiorno, il Maurizio Costanzo Show e Casa Vianello?
E poi la lunga parentesi politica. Dopo la fine della Repubblica dei partiti, pochi osarono scommettere sulla discesa in campo del Cavaliere. Persino i suoi più fedeli consiglieri, per esempio Fedele Confalonieri, provarono a dissuaderlo: «Silvio, non lo fare, sarai massacrato…». Ma Berlusconi se ne infischia, fa di testa sua e convoca a casa sua nei primi giorni del ‘94 i familiari e gli amici più stretti.

Qualche anno dopo racconterà ad Alain Friedman: «Li invitai tutti a cena ed esaminai con loro la situazione. Spiegai che avevo tentato di trovare una soluzione alternativa e non ci ero riuscito. Dissi: “Mi sento in dovere di fare questo passo. Sono l’unico che lo può fare”. Tutti mi suggeriscono di non farlo. Gli amici più stretti, i miei dirigenti, i miei figli mi raccomandarono di non entrare in politica. Mia madre era la più contraria».

IL TRIONFO DEL MEDIATORE

E così alle politiche del 1994 gli italiani, senza più la bussola democristiana e socialista, si rifugiano in maggioranza nel “Polo del Buon Governo”, costruito a tavolino da Berlusconi, che teneva sotto la stessa casa gli ex fascisti e i leghisti, il nord e il sud. Insomma, tutto e il contrario e di tutto. Un’operazione molto complicata, vista dall’esterno, anche perché Umberto Bossi diceva a proposito dei missini: «Io con la porcilaia fascista mai».

Fu un successo, perché il federatore era Berlusconi. Gli italiani credettero nella sua strategia, anche perché nei suoi discorsi, nel suo programma, l’italiano medio ritrovava cose che sentiva proprie: la diffidenza nei confronti degli ex comunisti, la critica ai partiti tradizionali, la semplificazione delle tasse, la riforma della giustizia. E, se vogliamo, la diffidenza nei confronti di un establishment che non vedeva di buon occhio la ricchezza e l’azione berlusconiana.

Ed è su quest’ultimo punto che si concentra il successo del leader di Forza Italia. Che all’indomani di Tangentopoli ha condiviso e cavalcato la sfiducia nei confronti della politica. Da questo momento in poi si apre il ventennio berlusconiano. Un ventennio costellato dal bipolarismo, che forse lui stesso inventò, e in cui governò meno dei suoi avversari. Berlusconiani versus antiberlusconiani. Fu divisivo.

I TRAVAGLI E LA TERZA FASE

E il centrosinistra non ci capì nulla. Fin dal famoso duello con Achille Occhetto. Solo Romano Prodi riuscì a sconfiggerlo per due volte. Ha segnato dunque un’epoca, con uscite spesso scomposte e sgrammaticate, e poi ancora con i suoi amori, lo scandalo delle Olgettine, Ruby Rubacuori, la condanna in Cassazione. A un certo punto si inventò il Popolo della Libertà, una casa che avrebbe dovuto contenere sotto lo stesso tetto i liberali di Forza Italia e gli aennini di Gianfranco Fini. «Lascerò agli italiani il più grande partito moderato di sempre».

Eppure, il ciclo del Pdl durò poco a causa dei diverbi con Gianfranco Fini, sfociati in una scissione, e soprattutto per la condanna in Cassazione per il caso Mediaset che ebbe come conseguenza l’estromissione dal Senato. A quel punto il Cavaliere decise di chiudere il Pdl e di far rinascere Forza Italia. Ma qui siamo già nella fase tre del Berlusconi-politico. Ferito dagli scandali, travolto dalla separazione con Veronica Lario. Da ora in avanti iniziano le micro-scissioni, la più clamorosa quella di Angelino Alfano, delfino «senza quid».
Il cerchio magico diventa tragico. Berlusconi, certo, non si arrende, ma non ha più il tocco magico degli anni del successo. Pian piano le percentuali diminuiscono, fino a diventare azionista di minoranza. Non ha incoronato nessuno. Gli è forse mancata l’uscita di scena, come annotano gli osservatori. Ma forse non avrebbe voluto incoronare nessuno. Perché il suo partito si identifica con la famiglia e con l’azienda. E forse l’eredità si sarebbe potuta pescare solo da quelle parti.

D’altro canto, in molti hanno provato a sostituirlo: da Gianfranco Fini a Giulio Tremonti, da Pierferdinando Casini ad Angelino Alfano. Nulla da fare. Anche Matteo Salvini, leader della Lega, ci ha provato ma senza riuscirsi. E adesso ci sta provando Giorgia Meloni.

«DOPO SILVIO, IL DILUVIO»

Ma in tutto questo c’è una domanda che sorge spontanea: cosa ne sarà di Forza Italia? Pochi credono che possa esistere senza di lui. Una volta l’amico Marcello Dell’Utri si lasciò scappare: «Dopo Silvio, ci sarà il diluvio». Non è un mistero che Berlusconi sia rimasto infatuato da Matteo Renzi. Nel 2008 lo invitò nella sua Arcore: «Ma uno come lei cosa ci fa con i comunisti? Lei dovrebbe essere dei nostri».

E non a caso Renzi, fra i politici, è stato fra i primi a ricordare l’importanza del Cavaliere, definendolo un fuoriclasse: «Ha fatto la storia in questo Paese. In tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica, ma anche economica, sportiva, televisiva, è stato senza precedenti. Oggi l’Italia piange insieme alla famiglia, ai suoi cari, alle sue aziende, al suo partito. A tutti quelli che gli hanno voluto bene il mio abbraccio più affettuoso e più sincero. In queste ore porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri».

E tanti oggi guardano al leader di Italia viva. Ma questa è un’altra storia. Nell’attesa, la morte di Berlusconi cambia la storia dell’Italia.


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