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Dell’impiego di anticorpi monoclonali nella lotta al Covid19 si parlava da diversi mesi, ma solo mercoledì scorso l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera al loro utilizzo nel nostro Paese. Ad essere autorizzati, nello specifico, sono quelli prodotti da Regeneron ed Eli Lilly, fra le aziende più avanti nella ricerca nel settore. Ogni dose costerà alla sanità poco più di 2mila euro, poco più di un giorno di ricovero, ma da sé che il loro impiego dovrebbe ridurre drasticamente i casi da ospedalizzare – o ridurre il periodo di degenza – dando maggiore respiro a un sistema ancora saturo.

Ma come funzionano? Target dei monoclonali è ancora una volta la proteina spike, che viene di fatto bloccata impedendo la replicazione all’interno delle cellule. Di fatto si ottiene la stessa copertura che si avrebbe con il vaccino. A differenza di quest’ultimo, tuttavia, non assicurano una copertura immunitaria duratura. L’effetto scudo, infatti, tende a esaurirsi nell’arco di pochi mesi. Altra particolarità è che sono destinati esclusivamente a persone malate, quando la patologia è agli esordi.

Andrebbero, quindi, somministrati entro le 72 ore e non oltre i 10 giorni dal tampone positivo. Anche perché la loro efficacia perde di tono se il paziente sviluppa sintomi gravi. Si tratta, quindi, di una vera e propria cura preventiva, raccomandata nei confronti dei soggetti a rischio: dagli anziani, agli immunodepressi, sino ai diabetici.

«Gli anticorpi monoclonali sono un’arma potente contro il Covid19 e, se somministrati ai primi sintomi, possono salvare vite – ha spiegato all’Agi il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù – Soprattutto alle persone ad alto rischio per comorbosità». I dati, ha aggiunto, «sono stati pubblicati su riviste scientifiche importantissime e un’idea sarebbe quella di somministrare gli anticorpi non tanto in ospedale, ma possibilmente a domicilio e, in un sistema organizzato, potremmo pensare a un coinvolgimento delle Usca».

Più cauto il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. Gli anticorpi monoclonali, ha detto a Sky Tg24, sono uno strumento importante che contribuisce «certamente alla lotta contro Sars-CoV-2, e in particolare a prevenire la progressione della malattia nei soggetti più fragili. Non attribuiamogli però delle proprietà salvifiche che non hanno per i malati gravi. Perché sarebbe sbagliato sulla base dell’evidenza e creeremmo delle aspettative che poi possono andare deluse».

Si tratta, ha proseguito, di anticorpi «da un clone di linfociti B e hanno tutti la stessa specificità e la capacità di neutralizzare, di bloccare il legame tra il nuovo coronavirus e il suo recettore presente sulle cellule umane. Gli studi clinici fino a oggi prodotti dimostrano chiaramente che questo approccio può essere utile per prevenire la progressione della malattia, mentre l’efficacia nei malati gravi non è stata dimostrata».

Per quanto riguarda il rapporto costi-benefici «io credo che il ragionamento vada fatto sulla somministrazione» con «un’indicazione appropriata. Vanno impiegati quando veramente servono: poche ore o pochi giorni dopo la documentata infezione, in coloro che hanno un elevato rischio di progredire e sviluppare patologia grave».


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