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«Fusse che fusse la volta bbona” diceva Nino Manfredi a Canzonissima e nei Caroselli del lontano 1958. Battuta che può valere anche per RaiWay, la società controllata dalla Rai che gestisce l’infrastruttura trasmissiva della concessionaria pubblica. Prima o poi, un socio arriverà. Forse.

Era l’ottobre del 2001, quando Maurizio Gasparri, oggi senatore di Forza Italia e allora ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, in una lettera inviata al direttore generale della Rai, Claudio Cappon, disse “non s’ha da fare” alla cessione del 49% di RaiWay al gruppo statunitense Crown Castle. Tre anni dopo Gasparri firmava la legge sul sistema radiotelevisivo che prevedeva una privatizzazione mai effettuata della Rai.

Quattordici anni dopo, EI Towers, allora controllata dal gruppo Mediaset della famiglia Berlusconi, annuncia un’offerta pubblica di acquisto per il 100% di RaiWay. Stavolta ad imporre l’alt all’operazione è il governo guidato da Matteo Renzi. L’esecutivo ribadisce che il 51% della società che gestisce gli impianti della Rai deve restare in mano pubblica: nell’aprile 2015 EI Towers ritira l’offerta da 1,22 miliardi di euro, avanzata due mesi prima, il 24 febbraio, sospesa dalla Consob e sotto istruttoria da parte dell’Autorità Antitrust. Il Governo conferma quanto previsto da un decreto della Presidenza del Consiglio del settembre 2014: il 51% di RaiWay deve restare alla Rai. Molti, tra cui alcuni magistrati, si chiedono come può Mediaset, azionista di controllo di EI Towers, non sapere di quanto previsto dal decreto. Anche quella, in ogni caso, non fu la “volta bbona”.

Nello scorso anno si torna a parlare di EI Towers-RaiWay, ma la prima, nel frattempo, ha un nuovo socio di maggioranza, F2i, che ha quali soci la Cassa Depositi e Prestiti, cioè il Tesoro, e le grandi banche nazionali. Va ricordato che il capitale della Rai è al 99,95% del Tesoro. Lo Stato è rientrato da protagonista nelle reti di telecomunicazione (si pensi a Open Fiber, partecipata da Enel e Cassa Depositi) La strategia industriale di tutti gli operatori, pubblici e privati, è quella del consolidamento per calmierare i prezzi e condividere gli investimenti: Telecom e Vodafone hanno messo in comune a marzo la propria rete infrastrutturale, F2i ha acquisito nel 2019, insieme ad EI Towers, Persidera da Telecom e gruppo Gedi, allora controllato dalla famiglia De Benedetti.

Era forse il caso di costituire una decina di anni fa un Polo unico delle trasmissioni, progetto sostenuto da diversi tecnici indipendenti, riproposto nel 2016 dall’allora sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, a maggioranza pubblica. Si è, invece, creato un intreccio tra pubblico e privati che ha finora tenuto la Rai ai margini del processo di consolidamento e conversione industriale del settore. EI Towers, nel frattempo, sta pensando di cedere la controllata Towertel, che gestisce le torri “basse” per il segnale telefonico. Subito si sono alimentate le voci che dietro a questa operazione ci sia un nuovo interesse di EITowers per le torri della Rai, a patto di avere il Governo favorevole.

Vi sono almeno due considerazioni da fare: il valore delle torri cala con il passare degli anni. Torniamo all’operazione Crown Castle: Rai Way viene valutata dall’operatore statunitense sui 1.800 miliardi di lire (la trattativa avviene a cavallo del passaggio dalla lira all’euro), in seguito ad un rilancio per superare i francesi di TDF. La Rai deve restituire, dopo il No di Gasparri, circa 430 milioni di euro più una ventina di interessi incassati per il 49%. Si può dire che il servizio pubblico ha perso, con quell’operazione mancata, almeno duecento milioni di euro, cioè la differenza tra quanto avrebbe versato Crown Castle rispetto a quanto realizzato con la quotazione di una quota di minoranza di RaiWay nel 2014.

L’arrivo del 5G e l’espansione della fibra ottica faranno progressivamente calare il valore delle torri “alte” per il segnale televisivo; eppure non è ancora “la volta bbona”. RaiWay ha un problema di fondo: dipende per i propri ricavi in massima parte dall’azionista Rai, con un contratto di servizio prorogato sino al 2028, con introiti marginali dal mercato. I ricavi provenienti da Rai sono saliti dai 172 milioni del 2014 ai 188 del 2019 mentre i ricavi da terzi scendono da 35 a 33 milioni. Non è quindi particolarmente appetibile da partner industriali e anche la Rai prima o poi farà i conti sui costi della propria controllata rispetto a quelli di mercato.

Resta un partner finanziario e politico come Cassa Depositi e Prestiti. Attenzione: è vero che il valore delle torri cala nel tempo, ma la televisione pubblica trasmessa su altre piattaforme, come il 5G, Internet e la fibra ottica, non sarà più “universale”. E non si potrà far pagare il canone in bolletta a chi non la dovesse ricevere. Su RaiWay la Rai deve fare una scommessa. Non sulla propria controllata. Sul proprio futuro.


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