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Il conferimento della cittadinanza onoraria a Minoli per "Un posto al sole"

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La serie televisiva salvò il centro di produzione Rai ed è qualcosa che appartiene alla storia del grande servizio pubblico dove si rispecchia l’identità di un Paese intero. La bellezza di questo racconto che appartiene al passato ma costruisce il futuro, è che si inserisce dentro una Napoli di oggi che è la prima città italiana per crescita dell’export manifatturiero e colleziona primati in tutto. Gli assi geografici si spostano nella storia, il Mediterraneo non è più un lago secondario, ma il centro dell’attenzione mondiale. Napoli ritrova la sua anima e la sua centralità con un unicum di bellezza, organizzazione e dinamismo produttivo. È cambiata la cartolina.

Abbiamo lanciato l’anno scorso la Carta di Napoli con al primo punto un impegno importante: cambiare la narrazione del Mezzogiorno. Che non significa inventare una narrazione, sarebbe gravissimo, ma raccontare il molto di buono che è stato fatto e che pochi ancora conoscono per costruire quella fiducia contagiosa che permette di fare il molto che serve per unire finalmente il Paese e restituire al Mediterraneo la sua capitale che diventa così la capitale del futuro. Una Napoli consapevole di non essere più periferia, ma centro del mondo capovolto dove cuore, cervello e organizzazione stanno tutti insieme coinvolgendo amministrazione, impresa, università e talento giovanile. Giocano per la stessa squadra e scendono in campo ogni giorno per consolidare quel rilancio di Napoli capitale che è oggi studiato nel mondo.

All’Auditorium partenopeo della Rai ieri, durante la cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria a Giovanni Minoli, papà della serie televisiva “Un posto al Sole” che è il simbolo dell’industria culturale di un servizio pubblico che era capace di inventare, anticipare, tenere insieme un Paese e parlare al mondo, ci siamo resi conto che questo televisionario geniale sabaudo, che ama Napoli ed è orgoglioso di restituire un po’ del maltolto, aveva capito tutto ventisette anni fa. Perché si deve a Giovanni Minoli se il centro di produzione Rai di Napoli non fu chiuso e venduto per fare cassa. Perché a lui si rivolse una donna straordinaria, Elvira Sellerio, che, come unica rappresentante del Sud nel consiglio di amministrazione della Rai, chiese a Minoli di dimostrare di essere capace di inventare qualcosa che durasse.

È quello che è accaduto e che un impareggiabile Pietrangelo Buttafuoco ha saputo restituirci in un affresco di emozioni che appartiene al grande teatro facendoci vivere il sentimento e la forza di quel miracolo che è stata la fiction attraverso cui Minoli ha saputo sempre snocciolare lo spirito dei tempi con un cast di primi attori e una formazione lunga di maestranze di qualità. Hanno tutti insieme aperto una finestra nel mondo che ha promosso la bellezza di Napoli e ne ha rafforzato l’immagine e il prestigio.
Il sindaco, Gaetano Manfredi, ha raccontato l’episodio di una sua conversazione privata con due economisti a Milano che hanno lavorato molto all’estero e che gli hanno confessato di guardare “Un posto al Sole” ogni volta che potevano per sentirsi a casa. Ha sorpreso tutti quando ha voluto precisare che i due economisti erano uno lombardo e uno veneto.

D’altro canto, se sono 65 milioni gli italiani all’estero che seguono “Un posto al Sole” rappresentando tutte le comunità internazionali, si capisce bene che stiamo parlando di qualcosa che appartiene alla grande storia del grande servizio pubblico televisivo dove si rispecchia l’identità di un Paese intero.
La bellezza di questo racconto che appartiene al passato ma costruisce il futuro si inserisce dentro una Napoli di oggi che è la prima città italiana per crescita dell’export manifatturiero e ha collezionato tutti i primati turistici, di servizi, di attrattività di capitali e di talenti giovanili, di ricerca e di innovazione. Gli assi geografici si spostano nella storia, perché non sono mai fermi, l’importante è cogliere il loro movimento e la loro collocazione in una dinamica reale. Prima tutti pensavano all’Atlantico e al Pacifico e la via dello sviluppo sembrava pendere verso Stati Uniti e Cina mentre il Mediterraneo sembrava un lago secondario. Adesso che gli assi geografici della storia spostano l’attenzione sul Mediterraneo, Napoli ritrova la sua anima e la sua centralità.

È quasi costretta a ritrovarla, ma il bello è che a cercarla e costruirla di loro in silenzio sono un’amministrazione comunale che approva il suo bilancio ad aprile, un sindaco ingegnere Manfredi che è fisicamente il contrario della cartolina stereotipata che tanto ha nuociuto a Napoli, un mondo della produzione che vive di mercato e colleziona record su record nel mondo, una bellezza valorizzata e ben tenuta che ha fatto esplodere turismo e servizi.

Ritornano il cuore e il cervello di “Un posto al Sole” di Minoli, ma si tocca soprattutto l’organizzazione che fa oggi di Napoli un unicum che è iniziato con la rappresentazione della sua bellezza, ma è proseguito con la crescita della sua industria. Che ha sempre meno da spartire con quell’idea di assistenza e di altra faccia della carità da sottosviluppo che un modello culturale sbagliato gli aveva cucito addosso. Oggi anche questo modello è cambiato, o per lo meno sta cambiando velocemente. Perché se no non sarebbe successo tutto quello che è successo e questo ci fa ben sperare che molto ancora accadrà. Almeno noi ci crediamo.


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