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I sussidi ai combustibili fossili assorbono il 7% del Pil mondiale, per il petrolio predisposti incentivi per 7mila miliardi, sarebbe meglio cancellarli…

Se c’è un filo rosso che unisce questi anni di crisi è il prezzo dell’energia. La Russia aveva, già prima dell’invasione in Ucraina, tenuto a stecchetto le forniture del gas e del petrolio. Una sapiente regia dell’offerta, in vista dell’esplosione delle quotazioni che hanno seguito la cosiddetta ‘operazione militare speciale”. Da allora, anche se le quotazioni sono ridiscese, il mercato dell’energia si è fatto più fragile. Se è vero che, secondo le teorie del caos, il battito delle ali di una farfalla nell’Amazzonia può provocare un tifone a Tokyo, è anche vero che è bastata la notizia di un paventato sciopero degli operatori del gas liquido nel North West Shelf australiano per far impennare i prezzi europei del gas.

L’energia è un prodotto ubiquo, nel senso che si infiltra nei prezzi di tutti i prodotti, dalle pere ai tagli di capelli, dai sacchetti di plastica agli aeroplani, per non parlare delle bollette. Forse è venuto il momento di ripensare ai prezzi dell’energia, a come si determinano e a come dovrebbero essere determinati. Un contributo fondamentale in questo senso è venuto dal Fondo monetario. Uno studio, che forse un giorno sarà considerato seminale e rivoluzionario, ha fatto una diagnosi e proposto una terapia. («Fossil Fuel Subsidies Data: 2023 Update», di Simon Black, Antung A. Liu, Ian Parry, e Nate Vernon).

La diagnosi è semplice: i prezzi dell’energia vanno alzati, e di parecchio. Perché? Perché non riflettono i veri costi della produzione e del consumo di energia nel mondo. La terapia: togliere i sussidi ai combustibili fossili, e usare dei risparmi di spesa e/o delle maggiori entrate per ridurre le tasse e/o migliorare i servizi pubblici.

Cominciamo dalla diagnosi. La diagnosi dice che i prezzi dei combustibili fossili in giro per il mondo non tengono conto dei costi invisibili ma reali, in termini di inquinamento, di riscaldamento globale, di congestione, di danni all’ambiente, e chi più ne ha più ne metta. In un’economia ben temperata i prezzi devono essere eguali ai costi, più un ragionevole margine di profitto. Ma non tutti i costi sono riflessi dal mercato. Se l’Eni compera un barile di petrolio, quello che paga riflette i costi di estrazione del petrolio, più il trasporto, più il profitto del produttore. Ma non riflette quelle che in economia si chiamano le ‘esternalità’, cioè i costi esterni, non quantificati, legati alle conseguenze di cui sopra.

Come quantificare questi costi? Non è facile, ma gli economisti del Fondo lo hanno fatto, e sono così arrivati a stimare i ‘sussidi impliciti’ di cui beneficiano i prezzi dell’energia. Si chiamano ‘sussidi’ perché dovrebbero essere i governi, intervenendo là dove il mercato non opera, a correggere i prezzi per far loro riflettere il costo ‘vero’. Se non lo fanno, è come se dessero un sussidio. Poi ci sono i ‘sussidi espliciti’. Questi, che sono stati spesso usati di recente, si danno quando lo Stato interviene – esplicitamente, appunto – per sussidiare le bollette.

Ora, mettendo assieme i due tipi di sussidi, si arriva a conclusioni sorprendenti e preoccupanti. A livello mondiale, siamo a più di 7 trilioni (7mila miliardi) di dollari, il 7% del Pil mondiale. Insomma, mentre il mondo si affanna per limitare l’aumento delle temperature al famoso limite dell’1,5°, mentre quest’anno si avvia a essere il più caldo da secoli, mentre l’estate ci ha portato vampate di calore, morti e incendi, i Governi sussidiano i combustibili fossili al ritmo del 7% del prodotto mondiale. Per dare l’idea dell’insensatezza di questa politica, i Governi del mondo spendono il 4% del Pil per l’istruzione.

Gli autori dello studio stimano che la rimozione di tutti i sussidi eviterebbe 1,6 milioni di morti all’anno, aumenterebbe le entrate statali di 4,3 trilioni di dollari, e metterebbe l’economia del mondo sul sentiero giusto per realizzare gli obiettivi degli Accordi di Parigi.

Naturalmente, non è facile farlo. Gli aumenti considerevoli dei prezzi dell’energia sono necessari per spingere ai risparmi ma certo non sono popolari, anche se le misure raccomandate alla fine ridondano a beneficio della collettività: parte delle maggiori entrate possono essere usate per compensare le fasce più deboli, e il resto può essere usato per ridurre altre tasse sul reddito e/o per migliorare i servizi pubblici. Ma, difficile o no, è giunto il tempo di correggere una stortura nel sistema dei prezzi che ci fa molto più male che bene.


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