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SULLA produzione di cibo sintetico si sta arrivando alla frutta. Non solo in termini letterali. Ieri dalla Fiera agricola e zootecnica in corso a Montichiari, in provincia di Brescia, è stato lanciato l’allarme sul rischio che la deriva delle produzioni in laboratorio arrivi all’olio e alla frutta. In Australia – ha affermato il segretario generale della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo – si starebbe infatti lavorando all’olio di oliva senza olive e ai succhi di frutta senza piante. Una tavola apparecchiata con alimenti realizzati in bioreattori non è dunque più futuribile. All’inizio sono stati la carne, il latte e i formaggi eccellenze del Made in Italy.

Poi il pesce. Il passaggio ad altre “delicatezze” potrebbe essere vicino. E con l’olio, prodotto tipico del Mezzogiorno che quest’anno, grazia al forte traino della Puglia, ha salvato i raccolti nazionali, si attenterebbe davvero al cuore della Dieta Mediterranea.

Ma anche la partita delle produzioni zootecniche rischia di essere pesante, in una fase in cui anche il Sud si sta misurando in questi settori. Che peraltro stanno attirando molti giovani. Sono infatti oltre 20mila gli under 40 che, secondo quanto emerge da uno studio realizzato dalla Coldiretti, hanno intrapreso l’attività dell’allevamento introducendo nuove tecnologie. La presenza dei giovani è importante per garantire il futuro di un settore strategico che vale 55 miliardi, ma che vede l’Italia in una condizione deficitaria costretta, secondo un’analisi del Centro Studi Divulga, a importare il 64% della carne di pecora, il 53% della quella bovina, il 38% della carne di maiale e i salumi, e il 16% di latte e formaggi. Ma oggi tutti i campioni della Dieta Mediterranea sono sotto attacco. La zootecnia per l’inquinamento, l’olio extra vergine perché considerato meno sano della Coca Cola, il vino dipinto come il grande killer.

Ma è soprattutto sull’ambiente che si fa leva per tentare di mettere nell’angolo le produzioni europee e italiane. E il racconto di un’agricoltura che inquina più di un’industria siderurgica (questo sostiene la direttiva emissioni) colpisce l’opinione pubblica se è vero, secondo quanto ha affermato il sondaggista Roberto Weber, presidente di Ixe’, che un terzo delle persone ascoltate ha attribuito al settore agricolo tutti i guasti. E allora piuttosto che guastare il territorio europeo meglio dirottare sui bioreattori e al cibo sintetico. Anche per puntare a un altro obiettivo oggi più che mai prioritario, combattere la fame nel mondo. Questa è la percezione. “Ma dove si è mai visto – ha affermato Felice Adinolfi docente di economia e politica agraria all’Università di Bologna – che un cibo sintetico, un prodotto brevettato e ingegnerizzato possa risolvere l’emergenza nel Terzo mondo?”. Anche sul fronte dell’ambiente Adinolfi ha precisato che le emissioni di un bioreattore non si possono paragonare a un allevamento europeo o italiano. Quanto poi alla salubrità intanto per far crescere in 3 settimane quello che la natura impiega anni a realizzare si utilizzano coadiuvanti sconosciuti al nostro organismo, si aggiunga poi l’uso di ormoni che l’Unione europea ha vietato da anni per finire agli Ogm impiegati per la fermentazione di precisione del latte realizzato in Danimarca. Sugli Ogm vige il principio di precauzione ed è quello che ha reso assolutamente sicuro il cibo comunitario e che dunque mette fuori gioco i prodotti da laboratorio.

L’europarlamentare Paolo De Castro ha poi chiarito che la commissione agricoltura del Parlamento Ue è compatta nel contrastare questa tipologia di alimenti: “Non si può rompere – ha detto – quel rapporto tra cibo e natura che ha caratterizzato millenni di storia”. Una battaglia che – ha assicurato il presidente Ettore Prandini – la Coldiretti giocherà fino in fondo facendo pressing su Bruxelles affinchè l’iter di approvazione dei simil cibi sia quello dei farmaci e non dei novel food. Senza una filiera “allagata” che vale 585 miliardi poi si rischierebbe il default. Ma è anche una questione geopolitica: “il cibo fa la differenza e chi lo detiene governa il mondo”. Da qui il timore che il “potere” della tavola si possa concentrare nelle mani di pochi aggravando la condizione di povertà delle popolazioni più fragili. Intanto forse già entro la prima settimana di novembre dovrebbe ottenere il via libera definitivo il ddl che vieta in Italia produzione, trasformazione, vendita e import di cibo “cellulare”.


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