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La domanda di beni di consumo non esce dalle secche e la produzione industriale ristagna. L’inflazione è scesa, ma occorrerà attendere qualche mese per verificare l’impatto sui consumatori. Nel frattempo la situazione economica generale continua a essere difficile, condizionata da un quadro europeo e mondiale segnato dallo stato di incertezza per le due guerre in corso.
A resistere, in Italia, è solo l’occupazione. Ma le prospettive generali potrebbero anche essere peggiori.

A settembre l’indice della produzione industriale, rilevato dall’Istat, è rimasto fermo sui valori di agosto. Un segno positivo (+0,2%) si riscontra nel terzo trimestre sul trimestre precedente, al traino dei beni strumentali, intermedi e dell’energia, mentre i beni di consumo sono rimasti su terreno negativo (-2,2%).

TUTTE LE VOCI DELLA FLESSIONE

Flessione del 2% rispetto a settembre dello scorso anno, e ancora una volta l’andamento negativo è dei beni di consumo con -6,5%. Tra i quattro settori economici che si sono caratterizzati per le peggiori performance, al primo posto carta e stampa, seguito da tessile, abbigliamento, pelli e accessori con -10,6%, gomme e plastiche -4% e industrie alimentari e bevande (-2,8%).
I settori che sono risultati al top per livello di crescita sono la fabbricazione di mezzi di trasporto (+11,2%), la produzione di prodotti farmaceutici (+2,3%) e i prodotti chimici (+0,9%).

L’Istat ha evidenziato il «lieve aumento del terzo trimestre». Ma rispetto all’anno precedente ha segnalato la diminuzione dell’indice complessivo, «come pure quelli relativi ai principali raggruppamenti di industrie, salvo i beni strumentali».
L’Azienda Italia non ritrova lo sprint, quello che le ha permesso una crescita sostanziosa nel 2021. E la conferma arriva anche dalla scarsa fiducia espressa sia dalle imprese che dai consumatori, che rappresenta un campanello d’allarme perché prelude, secondo l’Istat, a un rallentamento dell’economia.

Servirebbe, dunque, una scossa che oggi non può che arrivare dal Pnrr. D’altra parte, la radiografia tracciata dalla nota mensile di ottobre sull’andamento dell’economia è scoraggiante. Intanto le prospettive economiche internazionali che – ha ribadito il report – restano molto incerte «condizionate dall’acuirsi delle tensioni geo-politiche e dalle condizioni finanziarie sfavorevoli per famiglie e imprese».

Preoccupa il Pil, stabile nel terzo trimestre, con una crescita acquisita dello 0,7% per quest’anno, e certo non consola il fatto che la Germania abbia fatto peggio dell’Italia. Il mercato del lavoro ha mostrato, nonostante le condizioni avverse, una buona tenuta. Così come è andata bene sul fronte dell’inflazione, che a ottobre ha fermato la crescita a +1,8%, al di sotto dell’indice dei prezzi dell’area euro soprattutto per i ribassi più forti dei listini energetici.

Le quotazioni delle principali materie prime energetiche in ottobre, ha sottolineato l’analisi, hanno comunque mostrato un trend eterogeneo. Il prezzo del Brent, per la prima volta da giugno, è sceso (91,1 dollari al barile dai 94 dollari di settembre) ma l’indice del gas naturale è aumentato ulteriormente, arrivando a 113,8 da 95,4.

LA CRESCITA EUROPEA RESTA AL PALO

La crescita in Europa è rimasta al palo, con una marginale flessione del Pil, l’aumento, anche se minimo, del tasso di disoccupazione e le vendite al dettaglio in calo dello 0,3% in volume. Con questo quadro è inevitabile, anche in ambito europeo, la perdita di fiducia. L’indice di fiducia economica in ottobre si è ridotto infatti a 93,3 da 93,4, soprattutto per il sentiment negativo dell’industria.

Ma anche su questo fronte la risposta non è stata omogenea nell’area euro: si registra più fiducia in Spagna (+1,2 punti) e Germania (+0,5), meno in Francia (-2,9) e, in misura più contenuta, in Italia (-0,9).

A livello mondiale c’è stata però una ripresa degli scambi. E l’impatto è stato favorevole per l’Italia, dove nei primi otto mesi le esportazioni in valore sono aumentate del 2,3%, con una crescita importante sui mercati extra Ue (+5,2%) e in leggera flessione su quelli Ue (-0,2%). Le importazioni sono calate del 7,8%, registrando in particolare una forte flessione degli acquisti dai mercati extra-Ue.

Tra gennaio e agosto, il saldo commerciale è stato alla fine positivo per circa 18 miliardi (oltre 24 miliardi di disavanzo nello stesso periodo del 2022).

Altro dato positivo, come accennato, il lavoro. A settembre l’occupazione è cresciuta ancora, raggiungendo quota 23 milioni 656mila unità e ha interessato sia i dipendenti permanenti che gli autonomi. Il tasso di occupazione è salito al 61,7%. Incrementi anche per quanto riguarda la disoccupazione, che però è rimasta su valori definiti “storicamente bassi”. Tre, dunque, i punti di luce: inflazione in raffreddamento, export e occupazione in crescita.

Resta però l’ombra pesante del consumo, con le vendite al dettaglio ancora in calo nel terzo trimestre, sia per i beni alimentari che non. E la ciliegina sulla torta l’ha messa la Banca d’Italia, che ha annunciato una flessione a settembre dei prestiti al settore privato del 3,6%, sia alle famiglie (-0,9% sui dodici mesi dopo il -0,6% del mese precedente), sia alle società non finanziarie (-6,7% e -6,2 ad agosto).

Lo stato di disagio dunque resta alto. A misurarlo è il “Misery Index” di Confcommercio, che si è attestato a settembre a 15,4, invariato rispetto ad agosto, risultato di un «modesto rallentamento dell’inflazione per i beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto e di un contenuto aumento della disoccupazione estesa».

Un dato, quest’ultimo, che Confcommercio invita a valutare con molta attenzione perché sostiene che «da un lato si segnala una partecipazione più attiva della popolazione al mercato del lavoro, dall’altro si rileva un incremento delle richieste di sostegni al reddito dei lavoratori da parte delle imprese».

CALA LA FIDUCIA, CRESCONO I POVERI

La contrazione dei prezzi, poi, secondo l’organizzazione del commercio, «non appare al momento sufficiente a riportare la domanda su un sentiero più favorevole». Anche perché la dinamica dei prezzi dei beni e dei servizi acquistati in alta frequenza è ancora elevata. E dunque non c’è la percezione tra le famiglie di un miglioramento che induca ad aumentare la spesa.

D’altra parte, come ha segnalato Coldiretti, un terzo delle famiglie italiane lo scorso anno ha tagliato la spesa alimentare (-4,3%) spendendo però il 4,6% in più. Gli italiani hanno destinato alla tavola il 18,4%, pari a 482 euro mensili, della spesa totale, meno di un euro su cinque del budget familiare. E quest’anno il copione si ripete.

Nel frattempo continua ad aumentare il numero dei poveri. Sono oltre 3,1 milioni – ha reso noto Coldiretti sulla base dei dati del Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti – le persone che in Italia per mangiare sono state costrette a ricorrere alle mense o ai pacchi alimentari.


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