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I titoli russi sono diventati tossici. Lo hanno certificatole agenzie Moody’s e Fitch tagliandone il rating a livello di spazzatura. È un salto di ben sei livelli senza precedenti mettendo il sistema finanziario di Mosca fuori da tutti i circuiti internazionali.  Le conseguenze non hanno tardato a farsi sentire Il rublo protetto solo in parte dalla Banca centrale dopo il congelamento di gran parte delle riserve valutarie (630 miliardi di dollari), ha perso ancora il 20% sulla moneta Usa   portando il cambio a 116,92.

Vuol dire il rublo vale meno di centesimo rispetto al dollaro. Il dissolvimento della moneta è sempre più vicino. Il crollo riflette la decisione della Banca centrale russa di non pagare una cedola in scadenza sui bond per 29 miliardi di dollari. La Borsa di Mosca resta chiusa mentre i titoli azionari russi sono stati espulsi da tutti gli indici internazionali.  In mattinata la Borsa di Londra ha annunciato di aver   sospeso con effetto immediato gli scambi sui titoli di 27 società con forti legami con la Russia, tra cui EN+, Sberbank, Gazprom, Lukoil e Polyus. Il London Stock Exchange ha spiegato che la decisione è correlata agli “eventi in Ucraina, alla luce delle condizioni di mercato, e con l’obiettivo di mantenere l’ordine sui mercati”. Lunedì la Borsa tedesca ha bloccato gli scambi su 16 società. Il Nasdaq e il Nyse hanno fatto lo stesso.

  Una decisione che non è rimasta priva di conseguenze. Il consiglio d’amministrazione di Lukoil, secondo seconda compagnia petrolifera della Russia, con una decisione a sorpresa chiede l’immediata sospensione dei combattimenti in Ucraina.  In una nota, riportata dall’agenzia Tass, la società sottolinea di essere “pienamente impegnata a rafforzare la pace, le relazioni internazionali e i legami umanitari”.

Dopo l’annuncio di Roman Abramovich che vuole vendere la squadra di calcio del Chelsea per devolvere il ricavato alle vittime del conflitto, la presa di posizione del colosso petrolifero è un nuovo segnale del riposizionamento dell’élite imprenditoriale della Federazione russa, sulla quale si sono abbattute le sanzioni decisa da Ue, Usa e da altri Paesi.

L’inasprimento del confronto sta affondando le Borse. Milano è stata la peggiore della Ue con un calo del 2,35%. Francoforte è scesa del 2,16% e Parigi l’1,84%. Lo spread è salito a 156 punti.

 L’attenzione maggiore, però è concentrata sulle forniture energetiche. Putin è intenzionato a ribattere colpo su colpo alle all’offensiva delle sanzioni.  Da ieri il gasdotto Yamal-Europa ha smesso di funzionare. Lo ha annunciato l’operatore del gasdotto, la società tedesca Gascade. Il suo tracciato attraversa la Polonia e arriva alla Germania. Yamal è uno dei tre gasdotti con i i quali Gazprom convoglia il suo gas naturale verso l’Europa. Attraverso di esso passa circa il 10% delle forniture totali di gas proveniente dalla Russia.

I riflessi sui prezzi dell’energia sono pesanti.  Il prezzo della benzina ha superato i 2 euro, con punte di 2,111 euro al litro. Il diesel è arrivato a 1,974 euro. Dopo la decisione dell’Opec+ di lasciare invariati gli aumenti di produzione previsti, come se nulla stesse accadendo sui mercati internazionali, il Brent è arrivato fino a sfiorare 120 dollari, un livello che non si vedeva dal 2012. A preoccupare ancora di più è il gas: che ha raggiunto il record storico di 200 euro con un’impennata del 19% rispetto al giorno prima. Con il passare delle ore, le quotazioni si sono raffreddate, ma il mercato è rimasto altamente volatile.

Il caro- bollette, che sembrava aver trovato un argine con gli interventi del governo, rischia di riproporsi ancora con estrema urgenza. Basterà ricordare che la spesa giornaliera per l’acquisto di metano è salita dalla media di 250 milioni a oltre 660.   Confcommercio calcola per le imprese del terziario una spesa energetica di quasi 30 miliardi di euro nel 2022, con un incremento di oltre il 160% rispetto al 2021. E poi ci sono le materie prime alimentari. Il conflitto, ricorda l’Ismea, si è infatti inserito in un contesto già di tensione sui mercati dei cereali, come non si vedeva dalla crisi dei prezzi del 2007-2008. Il mais è passato da 170 a 287 euro a tonnellata, il grano duro da 280 a 522 euro, il grano tenero da 186 a 307 euro. “Non li contiamo più gli aumenti del grano, sono qualcosa che in 50 anni di lavoro non ho mai visto accadere. neanche dopo la seconda guerra mondiale. – commenta Carmine Caputo, Presidente Mulino Caputo. Il rischio, spiega, è che finiscano le scorte di grano tenero “fra un mese o anche prima”.


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