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Lo sguardo del presidente russo Vladimir Putin

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IL PRESIDENTE Vladimir Putin ha recentemente difeso un’economia russa che molti consideravano schiacciata sotto il peso delle sanzioni, e ha puntato il dito sulla crescita del Pil della Russia e sulla ripresa della Borsa. In un certo senso ha ragione: nel 2023, secondo le ultime stime del Fondo, l’economia russa è cresciuta del 3%, più che in America o in Europa, e la Borsa, prendendo l’ultimo dato di febbraio e confrontandolo col febbraio dell’anno scorso, registra un aumento superiore al 30%.

Questi confronti, tuttavia, sono fuorvianti, perché tutto dipende dal punto di partenza. Prima del Pil 2023 c’era il Pil 2022, quando l’economia russa era calata (-1,2%), mentre gli Usa (+1,9%) e l’Eurozona (+3,4%) avevano fatto molto meglio. E lo stesso si può dire per i mercati azionari. L’aspetto fondamentale, tuttavia, è ancora un altro. Basti ricordare che nella seconda metà degli anni Trenta – gli anni della Grande depressione – l’America sembrò uscirne con un’effimera ripresa, ma, nel 1938, seguì una nuova caduta. E l’economia americana si scrollò di dosso la debolezza solo – è qui il paradosso – con la guerra. Le immani spese belliche che seguirono all’entrata in guerra degli Stati Uniti sostennero l’economia: basti pensare che dal 1941 al 1945 il Pil americano segnò quasi un +50%.

Questo per dire che la Russia non ha molto da vantarsi se il Pil cresce del 3%, dato che è ovviamente sospinta dalle spese per sostenere l’insana invasione dell’Ucraina. E sono in corso altre sfide. Demografiche: la speranza di vita diminuisce, la popolazione cala e la fuga dei cervelli è massiccia. Inflazionistiche: dal 2021 al 2024 i prezzi al consumo vengono visti in aumento di quasi il 30%; nelle economie avanzate, nello stesso periodo, l’aumento è la metà di quello, e nell’anno in corso il Fondo monetario vede l’inflazione accelerare in Russia e rallentare in America e in Europa. Bilancio pubblico: sussidia le industrie della difesa, sostiene l’occupazione, paga per indurre a unirsi alle Forze armate, paga le famiglie dei soldati uccisi, e le spese mediche dei feriti. Il generale tedesco Christian Freuding, che è a capo degli aiuti della Bundeswehr all’Ucraina, ha dichiarato a fine dicembre alla Sueddeutsche Zeitung che circa 300mila soldati russi sono morti nel conflitto, o feriti così seriamente da non poter essere mobilitabili.

Se i Paesi della Nato si incartano sul famoso 2% del Pil che dovrebbero spendere per la difesa, la Russia ha ben altri livelli: la spesa militare è sul 6% del Pil, ed è superiore alla spesa sociale. E naturalmente, Putin non deve temere nessuna “procedura per disavanzo eccessivo”. Politica monetaria: con un’inflazione (a gennaio) del 7,4%, il tasso-guida della Banca centrale è del 16%, con tassi reali, quindi, proibitivi; e lo Stato sui titoli decennali paga il 12%, con ulteriori problemi per le finanze pubbliche. Vi sono poi grossi problemi nei sistemi di pagamento, dato l’inasprirsi delle sanzioni. La Russia, che ha perso molti mercati nei Paesi avanzati, ha dovuto cercare compensi nei rapporti commerciali con la Cina. Ma le banche cinesi hanno dovuto interrompere i pagamenti alle banche russe per timore di dover essere sanzionate a loro volta. Nel nuovo assetto globale del mondo il confronto viene spesso giustamente visto come un’ordalia fra autocrazie e democrazie.

Da una parte, Cina e Russia, dall’altra parte America ed Europa. L’ordalia si consuma su più livelli, ma almeno su uno di questi la sfida è già vinta dalle democrazie: come si vede dal grafico, che mostra gli andamenti dei mercati azionari ‘autocratici’ (media semplice dell’indice russo Moex e dell’indice cinese SSE) e di quelli ‘democratici (media semplice dello S&P500 americano e dell’EUR50 europeo), in quel sensibile barometro degli umori degli investitori le autocrazie arrancano.


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