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Occupazione e redditi sono in ascesa costante: nel 2023 contributi Inps in aumento del 4% a quota 214,6 miliardi; crescono di più i giovani e il Sud


Più lavoro per chi percepisce redditi più bassi, in particolare giovani, per i più istruiti e per i residenti nel Mezzogiorno. È questo lo spaccato che emerge dall’analisi della situazione occupazionale italiana e delle condizioni di reddito delle famiglie, risultato delle ben 500mila interviste che sono state realizzate dall’Istat per ciascun anno dal 2019 al 2022.
Dopo lo choc registrato nel 2020 per lo stop imposto dalla pandemia, dal 2021 il settore lavoro è tornato in carreggiata e nel 2022, rispetto al 2019, si rileva un aumento del tasso di occupazione di 1,1 punti percentuali, dal 59 al 60,1%, relativamente alla fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni.
Contestualmente, la disoccupazione è calata dal 10,1 all’8,2%, mentre è rimasto stabile il tasso degli inattivi.

TREND POSITIVO CONSOLIDATO

L’ultimo dato Istat, che ha segnalato a febbraio buone performance occupazionali, con un incremento delle posizioni lavorative soprattutto stabili, non è dunque un fatto episodico, ma è il risultato di un trend che prosegue da anni e che ha consentito di superare la situazione disastrosa creata dal Covid.
A sostenere il tasso di occupazione sono stati gli addetti a tempo indeterminato, che sono passati dal 38,4 al 39,8 per cento (classe tra i 15 e i 64 anni), mentre resta marginale, invece, il tiraggio dei dipendenti a tempo e degli autonomi (+0,2 per cento).
La maggiore occupazione si è riscontrata tra gli individui meno abbienti, in particolare tra coloro che rientrano nel 20 per cento dei redditi più bassi, e questo ha portato a una riduzione più incisiva della disoccupazione, fino al -5 per cento nel periodo compreso tra il 2019 e il 2022.

A livello territoriale, a tirare la volata è stato il Mezzogiorno, che continua a essere caratterizzato da tassi di occupazione più bassi (46,7 per cento nel 2022), ma che sul 2019 ha messo a segno l’incremento più elevato, pari all’1,9 per cento. E l’aspetto significativo è che la crescita ha interessato la fascia più povera.
Variazioni positive anche nel Centro (+1,2 per cento), mentre resta stabile invece il livello nell’area settentrionale (+0,2 per cento nel Nord-ovest e +0,1 per cento nel Nord est), con una flessione che riguarda gli individui più ricchi. C’è infatti un ritardo nella ripresa dell’occupazione nella classe di reddito medio-alta.
Il trend migliore, invece, si è riscontrato tra i giovani (25-34 anni) che hanno raggiunto un tasso di occupazione del 66,1 per cento (+3,4 per cento).

TITOLI DI STUDIO DETERMINANTI

L’elemento premiante – va sottolineato – è il livello di istruzione: tra le classi più povere l’occupazione è salita al 57,4 per cento per chi ha un titolo di studio, mentre per i più ricchi il tasso è all’89,1 per cento. Resta invece una disparità tra uomini e donne che purtroppo si riscontra in tutte le classi di reddito.

Il recupero dei livelli occupazionali rispetto all’anno pre-pandemia – secondo il report dell’Istat – è cresciuto all’aumentare del livello di istruzione, raggiungendo così un +1,6 per cento per chi ha un’istruzione universitaria.
Il lavoro a tempo indeterminato risulta legato al reddito ed è salito dal 15,1 per cento della fascia meno abbiente al 57,1 per cento di quella più benestante. È importante rilevare l’aumento dei lavoratori stabili a fronte della flessione degli autonomi che non sono riusciti a recuperare la condizione pre -Covid.
L’Istituto di statistica ha acceso i riflettori anche sullo stato di stabilità dei redditi. Tra gli individui definiti “più vulnerabili economicamente” si trovano i dipendenti a tempo determinato e i giovani tra 24 e 34 anni, il 60 per cento dei quali risulta aver percepito redditi in modo discontinuo nel periodo tra il 2015 e il 2021.

Nell’area di una maggiore vulnerabilità si collocano gli occupati nei settori alberghiero, della ristorazione, dell’agricoltura, altri servizi personali, costruzioni, i lavoratori a tempo parziale involontario, gli stranieri, gli autonomi senza dipendenti e i residenti nel Mezzogiorno.
Lo studio ha però precisato che il periodo esaminato tiene conto anche degli anni segnati dalla pandemia, durante i quali si sono fortemente ridotte le opportunità lavorative e, conseguentemente, anche i redditi.
Tra i settori che hanno offerto più lavoro spiccano le Costruzioni, anche per l’impulso dato al settore dagli incentivi fiscali legati al superbonus edilizio. In calo, invece, il Commercio (-0,2%) e l’Amministrazione pubblica.

L’OCCUPAZIONE STABILE SI RAFFORZA

Un aspetto rilevante è comunque il rafforzarsi della platea di occupati stabili che si associa a una minore vulnerabilità economica. L’Istat, in un periodo di sette anni, ha infatti calcolato che nella fascia dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato chi ha percepito in tutto il periodo redditi da lavoro ha raggiunto quota 81,1 per cento, che scende al 63,9 per cento per gli autonomi con dipendenti, mentre tra gli occupati a tempo questo “privilegio” è stato garantito solo a una minoranza (4 su 10).
Una forte discontinuità caratterizza anche la condizione degli occupati che si trovano in part time involontario. La saltuarietà nel percepire un reddito da lavoro è più accentuata nei settori caratterizzati da elevata stagionalità, dagli alberghi all’agricoltura fino alle costruzioni.

LA VIVACITÀ DEL MERCATO

La fotografia scattata conferma comunque la vivacità del mercato del lavoro, evidenziata dai dati di quest’anno, anche se restano delle fragilità legate alla difficoltà delle donne ad agganciare pienamente la ripresa e alle criticità che gli autonomi non riescono a superare.
L’Istat ha comunque ribadito che l’agricoltura continua a essere associata a bassi livelli di reddito. E in effetti, questo resta un vulnus del settore determinato da incassi spesso inferiori ai costi sostenuti, e che comunque non è in linea con redditi adeguati all’attività svolta e ovviamente coinvolge autonomi e dipendenti.
Si tratta di un nodo che il settore non riesce a superare e che la Coldiretti sta denunciando da tempo, anche perché l’attività agricola è, in alcune aree marginali, l’unica chance di lavoro e di reddito. E, insieme a un settore che, come denuncia l’Istat, continua a essere associato alla “povertà” economica, a rischiare è l’intero sistema Italia, poiché la produzione – ha ribadito Coldiretti – è alla base di una filiera che comunque vale 600 miliardi e conta su circa quattro milioni di lavoratori.
Il bicchiere, in ogni caso, è decisamente mezzo pieno, come confermano anche i dati sul bilancio dell’Inps, con 214,6 miliardi di contributi raccolti, il +4 per cento rispetto al 2022.

IL NODO DEL MISMATCH

«I numeri ci danno ancora una volta ragione e ci incoraggiano a perseguire i cambiamenti che questo governo ha scelto di intraprendere per rafforzare e consolidare il lavoro buono e di qualità in Italia» ha commentato il ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone, evidenziando «il numero record di occupati registrato dall’Istat e trainato proprio dall’incremento dei contratti a tempo indeterminato. E la crescita dei contributi versati all’Inps da lavoratori e datori di lavoro dimostra la vitalità e dinamicità del lavoro oggi in Italia, così come l’estensione di quello regolare».
Tra le criticità, il ministro ha indicato «il disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, e quindi la necessità di potenziare ulteriormente la formazione per colmare il mismatch».


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