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Il ministero dell'Economia

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Il Tesoro lancia i bot semestrali al 4%, come nel 2011, nel tentativo di fare cassa il ministro Giorgetti sembra intenzionato a smobilizzare la partecipazione del 64% in Mps

Non è certo una bufera ma sicuramente sui mercati non tira una bella aria. La debolezza degli indici Usa, dopo un tentativo di rimbalzo in avvio a Wall Street, non ha aiutato i listini europei. Milano in calo dello 0,31%, Parigi dello 0,03% e Francoforte dello 0,25%.

La novità che più preoccupa il mercato è rappresentata dalla corsa dei titoli di Stato che sta coinvolgendo tutta la fascia delle scadenze. Il campanello d’allarme suona sul Btp decennale. Lo spread ieri ha toccato il nuovo record a 194 punti riportandosi sul massimi di marzo. All’inizio dell’estate era ancora fermo intorno a 160. Il rendimento del Btp è salito al 4,47% che rappresenta il top dal 2022. Ma non basta. Ancora più significativa è la corsa che sta coinvolgendo anche le scadenze più brevi. Ieri il Tesoro ha collocato 6,5 miliardi di Bot semestrali con rendimenti che sfiorano il 4%. Tetti così alti non si vedevano dal 2011 quando la crisi dei debiti sovrani aveva raggiunto il livello critico. La galoppata dello spread oltre 550 punti aveva costretto il governo Berlusconi alle dimissioni. Un fantasma che questo governo ha ben presente.

NON SOLO BOT SEMESTRALI AL 4%, IL MINISTRO GIORGETTI PENSA A SMOBILIZZARE LA PARTECIPAZIONE DEL TESORO IN MPS

Nel tentativo di fare cassa il ministro Giorgetti, secondo le indiscrezioni sembra intenzionato a smobilizzare la partecipazione del 64% in Mps. Il Mef visto che non trova nessun partner disponibile a rilevare l’intero pacchetto azionario potrebbe mettere sul mercato un pacchetto compreso fra il 5 e il 10%. L’obiettivo è quello di avviare le procedure di dismissione da completare entro il 2024. La diffusione di queste indiscrezioni ha provocato la caduta delle quotazione del 6,6% a 2,39 euro.

In due sedute il Monte ha perso a Piazza Affari quasi l’11%, in un clima di volatilità che si sta esacerbando dopo che, ad inizio settembre, il tema della privatizzazione è tornato d’attualità, non senza frizioni nella maggioranza di governo. Forza Italia spinge per uscire e la Lega frena.

Per gestire la vendita via XX Settembre, che di Mps detiene il 64,2%, si sarebbe affidata all’investment bank Equita. Quando nel febbraio 2023 Axa liquidò l’8% allora in suo possesso con uno sconto del 15% sui prezzi di mercato, Mps perse l’8% in una seduta. Dal Tesoro, dove si respira una certa irritazione, viene ribadito che il Monte verrà privatizzato secondo le modalità già decise dal Parlamento. Non c’è nessuna fretta e si sceglierà il momento più opportuno in linea con quanto dichiarato dal ministro Giancarlo Giorgetti («risolveremo senza farci dettare tempi da nessuno»).

LA POSIZIONE DELL’AD DI MONTE DEI PASCHI DI SIENA

«Credo che il nostro compito come management sia quello di far emergere ancor di più il valore della banca, il resto è un tema che riguarda più l’azionista», ha detto l’ad Luigi Lovaglio a Class Cnbc, sottolineando come Siena sia ormai una «banca normale» a livello di asset, redditività e solidità, «Il rischio di overhang di un collocamento (cioè di un grande afflusso di azioni che il mercato faticherebbe ad assorbire, ndr) sta crescendo e potrebbe non andarsene nel caso in cui venissero valutate ulteriori vendite entro giugno 2024», scrivono gli analisti di Mediobanca, secondo cui il tema della fusione è rinviato al 2024-2025 complice la mancanza di candidati al momento disponibili.

Mps «ha le carte in regola per poter restare sola ancora a lungo e rappresentare, in futuro, il punto di partenza per la realizzazione dell’auspicato terzo polo», ha dichiarato il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni, sollecitando il governo a chiedere alla Ue un nuovo «rinvio del termine per l’uscita» dal capitale. Una riduzione della quota permetterebbe da un lato al Tesoro di accompagnare Siena nel risiko con una partecipazione meno ingombrante e dall’altro offrirebbe segnali di buona volontà alla Ue, in attesa che si sblocchi il cantiere delle aggregazioni.

All’interno del governo si vedrebbe con favore la creazione di un terzo grande polo bancario nazionale, accanto a Intesa e Unicredit, da realizzare attraverso una fusione o con Banco Bpm o con Bper. Ma nessuna delle due banche appare al momento disponibile mentre Unicredit difficilmente tornerà a guardare il dossier a condizioni peggiori di quelle, estremamente punitive, che chiedeva nel 2021.


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