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La sede della Banca d'Italia

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L’ultimo rapporto sulla Sostenibilità finanziaria della Banca d’Italia ribadisce come sul fronte banche e debito pubblico l’Italia non ha problemi

La Banca d’Italia ha appena rilasciato un altro Rapporto sulla Sostenibilità finanziaria, e, quanti pensano (giustamente) che l’Italia abbia ragioni per tenere alta la testa nel consesso (economico) dell’Europa, potranno trovare altre conferme a questa opinione.

Cominciamo col CCyB («Chi era costui?», avrebbe detto Don Abbondio): si tratta di un ‘Countercyclical Buffer’, cioè a dire di una riserva che le banche debbono detenere, secondo le regole della vigilanza europea, per far fronte a una crisi dell’economia. La metodologia per la definizione del CCyB prevede l’attivazione del ‘buffer’ quando risulti positivo lo scostamento del rapporto tra credito totale e prodotto rispetto al suo trend di lungo periodo (‘credit-to-GDP gap’).

Quindi, non tutte le banche sono tenute a mettere da parte un CCyB: solo quelle che partono male, cioè a dire che mostrano, hic et nunc, qualche fragilità. Ebbene, dice la Banca d’Italia, il CCyB è stato quantificato a zero (virgola zero) per noi, data la solidità del sistema bancario italiano.
E gli altri Paesi?

Dei 30 Paesi dello Spazio economico europeo (che include, oltre ai 27, la Norvegia, l’Islanda e il Lichtenstein), ben 19 – inclusa Francia e Germania – hanno un CCyB positivo, mentre sono 9 quelli che si permettono il lusso – come l’Italia – di tenerlo a zero; e di quei 9 l’Italia è uno dei 3 che non hanno avuto bisogno di attivare neanche il SyRB (‘Systemic risk buffer’), cioè le riserve di capitale a fronte del rischio sistemico.

Veniamo a un secondo e fondamentale aspetto. La ‘sostenibilità finanziaria’ ha molti volti, e di solito ci si concentra su uno solo di questi, cioè quello attinente al debito pubblico. Ma, come evidenzia il Rapporto (vedi rapporto), ci sono altri aspetti, e specialmente quelli relativi all’indebitamento privato (molto basso in Italia nel confronto internazionale) e la situazione netta sull’estero positiva.

Ma anche per quanto riguarda la finanza pubblica l’indicatore di sostenibilità, tratto da un periodico rapporto della Commissione (“Debt Sustainability Monitor”, dell’aprile 2023) è lusinghiero per l’Italia (vedi tabella), e conferma le cifre già presentate nel precedente Rapporto della Banca sulla sostenibilità finanziaria. Questo indicatore, disponibile per le finanze pubbliche dei Paesi dell’euro, è definito (se ne è dato già conto in un articolo del 5 maggio scorso, che commentava la precedente edizione del Rapporto) «come l’aumento immediato e permanente dell’avanzo primario strutturale necessario perché sia soddisfatto il vincolo di bilancio intertemporale delle Amministrazioni pubbliche». Cosa vuol dire?

Avanzo primario strutturale vuol dire il saldo (positivo) del bilancio pubblico con due differenze: al netto delle spese per interessi, e corretto per l’influenza del ciclo – cioè a dire, se l’economia va male aumentano le spese per sostenere i redditi (per esempio, i sussidi di disoccupazione) e diminuiscono le entrate, e questo fa peggiorare il bilancio – ma questo impatto viene ignorato per arrivare al saldo ‘strutturale’ (e naturalmente, l’opposto ‘ignorare’ è messo in opera se, al contrario, l’economia è in boom). Una ulteriore correzione, per arrivare al saldo ‘strutturale’, sta nel togliere dalle spese (e dalle entrate) quelle ‘una tantum’, in modo da lasciare solo le entrate e le spese ‘normali’.

E cosa vuol dire “il vincolo di bilancio intertemporale”? Vuol dire che il debito di oggi non deve superare la somma degli incassi futuri scontati ad oggi. Cosa dice questo indicatore (S2, in % del Pil)? Guardiamo alla media Eurozona e ai quattro maggiori Paesi dell’area (Germania, Francia, Italia, Spagna). Come si vede. L’Italia è il Paese per cui l’aumento dell’avanzo primario strutturale necessario per il rispetto del vincolo è il più basso. In queste proiezioni ‘intertemporali’ gioca anche l’aumento della spesa previdenziale, che vale per tutti. Ma in Italia il combinato disposto di alti contributi sociali e di una crescente età effettiva di pensionamento fa sì che il problema previdenziale rimanga sotto controllo (basti pensare che in Francia abbiamo visto scioperi feroci contro l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, mentre da noi siamo già – giustamente – a 67).

Altro esempio: spesso si dice che dobbiamo stare attenti al nostro debito pubblico, perché una quota consistente è detenuta da stranieri, che hanno, per quanto riguarda l’attaccamento al debito sovrano di un Paese, cuore di coniglio e zampe di lepre. Ora, la quota è in effetti consistente (circa un quarto) ma minore di quella di Germania, Francia e Spagna.

Da ultimo, il debito. Sì, come peso (sul Pil) del debito pubblico, siamo maglia nera in quel confronto (a parte, fra i Paesi in tabella, Grecia e Giappone). Ma il debito – e i rischi che comporta se, di seguito al rialzo dei tassi, se ne appesantisce il servizio – non è solo pubblico. C’è anche il debito privato (di famiglie e imprese), riportato nella tabella. Se, usando la prima delle quattro operazioni, mettiamo assieme debito pubblico, debito delle famiglie e debito delle imprese (non finanziarie), l’Italia si situa all’incirca sulla media dell’Eurozona.

Insomma, quando a Bruxelles si litiga sugli ‘zero virgola’ di correzione dei nostri saldi, quando si tira in ballo la nostra affidabilità, quando si dubita della nostra capacità di realizzare riforme strutturali, ci si dimentica che abbiamo fatto delle riforme: la riforma del sistema delle pensioni, da Amato a Dini, da Prodi a Monti ha inciso in una misura che altri Paesi non si sognano nemmeno. Il problema dell’Italia non è nella sostenibilità delle finanze pubbliche. Sta – e qui tocchiamo l’affannosa rincorsa per realizzare il PNRR – nella qualità della spesa, nella farragine dei tributi, nella pesantezza degli adempimenti burocratici, nelle ruggini che impediscono la concorrenza, nelle pesantezze della giustizia civile: sono queste le ‘riforme strutturali’ di cui abbiamo bisogno per riprendere a crescere.


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