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IL 28% DELLE Piccole e medie imprese (Pmi) nei settori più colpiti dal covid sono a rischio, il 36,5% sono nel Mezzogiorno. In particolare la possibilità di chiusura di diverse pmi del Sud lancia un allarme anche sulla Campania dove questo settore imprenditoriale era in forte crescita con un +21,3% nel 2019 rispetto al 2007, una crescita molto forte visto che il dato del Mezzogiorno sullo stesso periodo è del + 11%.

Attualmente in Campania la pmi impiegano 290.864 persone, con l’uscita dalle aziende che è però bloccato dallo stop ai licenziamenti.

E’ quanto emerge dal Rapporto Regionale Pmi 2021, realizzato da Confindustria e Cerved, insieme a Intesa Sanpaolo, che analizza le performance delle circa 160 mila società di capitale italiane che impiegano impiegando tra 10 e 249 addetti e con un giro d’affari tra i 2 e i 50 milioni di euro e vengono definite quindi Pmi. Con 94.000 pmi, il Nord è l’area con il numero maggiore di Pmi, che registrano comunque una presenza diffusa con 33 mila società nel Centro e 32 mila nel Mezzogiorno.

L’emergenza sanitaria ha determinato una crisi senza precedenti colpendo in particolare la ristorazione, il turismo, gli alberghi, i trasporti, ingrosso e il dettaglio non alimentare e il sistema moda. In base alle stime, un numero molto consistente di Pmi (28 mila, pari al 17,9%) ha subito nel 2020 un calo dei ricavi superiore al 20%, il Centro risulta l’area geografica con la quota peggiore (23,1% in termini di numerosità e il 24,0% in termini di fatturato), seguito dal Mezzogiorno (18,7% e 19,5%), che però fa registrare anche le percentuali più alte di imprese stabili o in crescita (14,8% in termini di fatturato) oppure con un calo contenuto (37,6%). In media, il fatturato delle Pmi è atteso in calo del 10,6% tra 2019 e 2020.

Nonostante impatti consistenti, il sistema delle Pmi sembra finora aver sostanzialmente tenuto, in parte anche grazie al lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario osservato in Italia nel precedente decennio, ma soprattutto per via del massiccio impiego di misure emergenziali adottate dal Governo, che hanno mitigato lo shock della pandemia.

Durante il lockdown i mancati pagamenti delle Pmi sono esplosi in tutto ilPaese, ma poi, con la ripresa dell’attività economica e con la progressiva operatività del Decreto Liquidità sono tornati sostanzialmente alla normalità. Nella fase più acuta, a maggio, le Pmi meridionali non hanno saldato il 55% del valore delle fatture in scadenza o già scadute, un dato in forte crescita rispetto al 42% di dicembre 2019. Alla fine dell’anno il volume dei mancati pagamenti è invece ritornato su livelli simili a quelli dell’anno precedente. Nei settori più colpiti dall’emergenza pandemica gli effetti sono però più intensi con profili di rischio al 36,5% nel Mezzogiorno, al 29,4% nel Centro, al 26,9% nel Nord-Ovest e al 20% nel Nord-Est. In particolare, la presenza di Pmi con un concreto rischio di default nei prossimi dodici mesi supera i due terzi tra le società che organizzano fiere e convegni, con percentuali ovunque superiori al 65%. Il 40% dei ristoranti è ad alta probabilità di fallimento (l 17,3% prima del Covid), ma in questo caso con ampi divari tra quelli del Nord-Est e quelli del Mezzogiorno (il 50,9%). Risultano rischiosi un terzo degli alberghi, anche in questo caso con evidenti gap tra il Nord-Est (20,7%) e le altre aree, con un massimo del 46,6% nel Mezzogiorno.

Anche per quanto riguarda le previsioni sul capitale aziendale, il Mezzogiorno è l’area relativamente più colpita dalla crisi sanitaria, con una perdi-ta stimata di 8,4 miliardi (-5,3%). Le regioni più colpite sarebbero Sardegna (-6,4%), Sicilia (-5,7%) e Calabria (-5,5%). Nel Centro si stima una riduzione di 10,7 miliardi (-4,9%), nel Nord-Est di 9,7 miliardi (-4,6%) e nel Nord-Ovest di 14,4 miliardi (-4,6%).

Un tema di grande rilevanza per i prossimi mesi è quello di valutare le conseguenze della pandemia sui posti di lavoro e sugli investimenti, al momento in cui cesseranno misure come il blocco dei licenziamenti o l’estensione della Cassa Integrazione, messe in campo per far fronte all’emergenza. La monografia è dedicata a un esercizio che stima questi impatti, considerando un “effetto default” (numero di posti di lavoro e di investimenti persi in imprese che usciranno dal mercato) e un “effetto scala” (adeguamento degli organici coerente con le variazioni del giro d’affari atteso per le imprese), al netto di eventuali politiche di sostegno e di rilancio straordinarie. In base alle stime, i posti di lavoro che potrebbero essere persi alla fine del 2021 rispetto a dicembre 2019, ammontano a 1,3 milioni, pari all’8,2% del totale dei 16 milioni di addetti impiegati nelle imprese prima dell’emergenza (considerando non solo le PMI, ma anche micro e grandi).

Da un punto di vista territoriale, le perdite sarebbero in termini assolute più consistenti nel Nord-Ovest (399 mila addetti, -7,8%), rispetto a Nord-Est (322 mila, -8,2%), Mezzogiorno (320 mila, -8,4%) e Centro (289 mila, -8,9%). Il tasso di disoccupazione passerebbe dal 10% al 15,1%, con punte del 21,1% nel Sud e nelle Isole. Tra le regioni, Calabria (24,5%), Campania (24,4%) e Sicilia (23,9%) farebbero registrare i tassi più alti, anche a causa di tassi già molto alti prima della pandemia. In tutte le regioni i tassi di disoccupazione potrebbero comunque superare il 10%.

La probabile uscita dal mercato di un numero rilevante di imprese e il ridimensionamento del giro d’affari di molte altre avrà inevitabili ripercussioni anche sul livello di investimenti. Secondo le stime, causa del Covid le società italiane perderebbero 43 miliardi di euro di capitale nel biennio 2020-2021 (-4,8% su 900 miliardi complessivi di fine 2019).


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