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SE IL call center dei laureati siciliani rischia di restare senza lavoro.  Succede anche questo nel Paese delle disparità. Che per non emigrare si decida di mettere da parte il pezzo di carta, anni di studio e di sacrifici,  rinunciare alle proprie aspirazioni pur di portare a casa a fine mese uno stipendio da 1.200 euro (straordinari compresi). Finché,  a scadenze fisse, si ripresenta il timore che quel contratto insoddisfacente per chi aveva ambizioni diverse non venga più rinnovato.    

E’ una storia che va avanti da 18 anni, da quando i cittadini di due comuni del Catanese, Paternò e Biancavilla, scoprirono loro malgrado di avere una “vocazione” da telefonisti. O meglio: in mancanza d’altro, in una regione in cui tuttora la disoccupazione giovanile oscilla tra il 30 e il 35%,  laureati in lettere,  filosofi, sociologi, psicologi, comunicatori, etc, etc, decisero di rispondere alla chiamata della Regione Lombardia per gestire i servizi di prenotazione. 

Uno su due mise nel cassetto la sua laurea: meglio una occupazione onesta e dignitosa da operatore di un call center che fare le valigie. A inventarsi questa forma di lavoro a distanza  furono i fratelli  Ignazio e Romano La Russa, originari di queste parti. Nell’entroterra etnico nacque così una piccola enclave della sanità lombarda,  considerata, però, anche il feudo elettorale dei due “fratelli d’Italia”. Soprattutto del primo, ex ministro della Difesa, noto esponente del partito di Giorgia Meloni. 

Perché gli albanesi e altri centralisti dell’est europeo che a stento parlano l’italiano possono lavorare nei call center e i siciliani no? Tanto più che in Lombardia e più in genere nel Nord d’Italia di aspiranti centralinisti ce ne sono sempre stati pochi.  

L’ETICHETTA DESTRORSA

Quell’etichetta destrorsa è rimasta incollata al call center e continua a dare una collocazione politica ai circa 1.200 dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali non ha in tasca tessere di partito ma soltanto l’esigenza di un posto di lavoro garantito.  Per anni il problema non s’è posto. L’ombrello di Aria Spa, la controllata della sanità lombarda,  un gigantesco carrozzone – che sarebbe poi collassato dinanzi all’emergenza-Covid –  ha contribuito a confondere le appartenenze.

La questione è  tornata a galla quando, nel 2014, sotto le pressioni della componente leghista,  si decise di scorporare un ramo d’azienda. Il front office fu così esternalizzato e Lombardia contact srl  incorporata dal gruppo  Gpi Spa – lo stesso che gestisce anche il centro unico prenotazioni del Lazio e di altre regioni italiane  – che si aggiudicò la gara.  Come abbiamo già raccontato su questo giornale, per il Pirellone non fu un grande affare. Incassò 12,5 milioni ma si impegnò per 6 anni a pagarne 20.  Erano i tempi in cui dare lavoro agli operatori di un call center del Sud significava esporsi alle critiche degli oltranzisti leghisti. Tanto più che quel call center di Paternò aveva ormai il marchio “La Russa”.  Alcuni notabili del Carroccio spararono a zero contro “i compaesani dell’ex ministro”.  Accuse feroci, alcune del tutto immotivate e create ad arte per dimostrare  la presunta inefficienza degli operatori siciliani.

Tra non molto in Sicilia si tornerà alle urne. E come sempre in questi casi accade ecco che la posizione dei centralinisti laureati di Paternò e Biancavilla è tornata ad essere precaria. A dicembre scadrà la commessa, il gruppo che si aggiudicherà la gara non potrà ignorare le clausole di garanzia per i lavoratori. Clausole che però restano spesso sulla carta e non vengono applicate. Senza dire che quasi mai la retribuzione resta la stessa ma subisce una decurtazione. Da qui le preoccupazioni dei centralisti. “Si vive meglio con 1.100 euro in Sicilia che con il doppio a Milano”,  spiegano. E pazienza per la laurea,  per un futuro che sul piano lavorativo avrebbe potuto essere più soddisfacente. A rischiare non sono soltanto i centralisti ma anche i 70 addetti al Back-office che svolgono mansioni di customer-satisfaction  per verificare l’efficienza dei servizi offerti.

Paternò è un comune di circa 45 mila abitanti, situato nella parte orientale dell’isola, a ridosso dell’Etna. Luoghi dal grande fascino,  opportunità di lavoro però poche. Stesso discorso per Biancavilla, 22 mila abitanti che vivono alle falde del vulcano.  Con gli anni e con l’esperienza maturata durante l’emergenza Covid gli operatori del call center siciliano sono cresciuti e sono ormai considerati tra i più qualificati del settore. Hanno gestito, tra l’altro, il sistema delle vaccinazioni del personale della scuola in Lombardia, un bacino di circa 300 mila persone, tra docenti e non docenti. Un livello di efficienza riconosciuto. Nonostante questo, la Regione siciliana non ha mai preso in considerazione la possibilità di avvalersi di questa risorsa “locale”.   In quanto ad Aria Spa, dopo una lunga serie di “disastri”, l’esigenza di ottimizzare i costi, per “migliorare la qualità degli acquisti di beni e servizi e  fare da supporto ai progetti strategici”, giustifica ormai anche le scelte più discutibili.  E dire che proprio sul servizio prenotazioni del comparto sanitario la giunta Fontana aveva rischiato di capitolare, al punto da essere costretta in extremis a rivolgersi al sistema informatico di Poste italiane.  Un settore strategico, la gestione delle visite specialistiche e degli esami diagnostici: 500 mila chiamate al mese.

Senza i laureati di Paternò e Biancavilla chi risponderà all’altro capo del filo?


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