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L’occupazione femminile con le potenzialità del Sud potrebbe essere una spinta in più per l’Italia. Rispetto a 20 anni fa, le donne che lavorano sono aumentate di un milione e siamo ancora sotto agli altri Paesi


Ci sono due giacimenti di crescita potenziale in Italia: il Mezzogiorno e l’occupazione femminile. Del primo se ne è parlato più volte. Guardiamo al secondo giacimento.
Due giorni fa l’Istat ha rilasciato i dati di gennaio su occupati e disoccupati. C’è una piccola riduzione dell’occupazione complessiva, che non è tale da far indietreggiare la media mobile di 3 mesi, che segna quindi altri massimi. Ma guardiamo alle tendenze di lungo periodo. Il dato di gennaio 2024 completa i venti anni da quando l’Istat ha iniziato le statistiche mensili destagionalizzate sul mercato del lavoro.

Il primo grafico ripercorre così questo ventennio e presenta l’evoluzione degli occupati – uomini e donne – dal gennaio 2004 al gennaio 2024. Come si vede, e come già detto molte volte, l’occupazione totale è a livelli record (malgrado, nel frattempo, la popolazione sia diminuita, e di conseguenza anche il tasso di occupazione – occupati in percentuale della popolazione in età di lavoro – è a livello record). Questi massimi dell’occupazione sono dovuti, tuttavia, interamente all’occupazione femminile, che sorpassa il livello di partenza per oltre un milione di occupati, mentre i maschi sono solo circa 150mila in più rispetto a venti anni fa.
Questo strappo (benvenuto) dell’occupazione femminile ha dietro tendenze di lungo periodo. Si tratta principalmente di fattori psico-sociologici, che hanno spostato la donna dal suo ruolo tradizionale di angelo del focolare, e spinto la ricerca di indipendenza economica e di realizzazione di sé da parte degli ex-angeli. Qui l’Italia ripercorre con molto ritardo il cammino degli altri Paesi avanzati, e ha davanti a sé molta altra strada da fare, dato che, se la dinamica va nella direzione giusta, il livello del tasso di occupazione femminile è ancora molto al di sotto di quello degli altri Paesi. Una minorità, questa, che è però anche, come detto sopra, un giacimento di crescita potenziale.

Tuttavia, l’analisi non si ferma qui, e c’è qualcosa che non va nell’occupazione femminile. Guardiamo al secondo grafico, che divide il ventennio in due decenni. Dal 2004 al 2014, come si vede, l’occupazione maschile discese rapidamente, e trascinò nella discesa anche l’occupazione totale (primo grafico). E questo malgrado in quegli anni le donne avessero conosciuto una forte ascesa dell’occupazione.
Quel decennio fu un periodo amaro, butterato prima dalla Grande recessione (2008-2009) e poi dalla crisi dei debiti sovrani (2012-2013). La caduta dell’occupazione totale (e di quella maschile in particolare) fu quindi un normale fenomeno congiunturale, in un’economia squassata da due forti crisi, e sarebbe stata ancora peggiore se non ci fosse stato un balzo strutturale dell’occupazione femminile, dovuto ai fattori di cui sopra, e anche agli effetti di varie riforme del mercato del lavoro, che favorivano forme di assunzione a tempo parziale e aspetti di flessibilità, importanti per tutti ma per le donne in particolare.
Mentre la prima parte del grafico fa il gennaio 2004 uguale a 100, il secondo pannello parte dal gennaio 2014 uguale a 100. E qui la storia è inaspettatamente diversa.
Come si vede, l’occupazione aumenta abbastanza di concerto, fin verso il 2019, fra uomini e donne – anche se questa volta l’occupazione maschile cresce di più. Ma, a partire dall’annus horribilis del 2020, gli andamenti si divaricano ancora: l’occupazione femminile crolla molto di più di quella maschile, e, anche quando si riprende, non tiene il passo dei maschi: talché, a oggi, il livello delle donne occupate è ancora al di sotto dei massimi pre-pandemia. Mentre l’occupazione maschile si trova largamente al di sopra di quei massimi.
Le cause non sono del tutto chiare. Perché la situazione occupazionale delle donne ha sofferto, col Covid, più di quella degli uomini? Forse perché a essere sacrificati sono stati i posti di lavoro più fragili, in cui erano maggiormente rappresentate le donne. O forse, i periodi di forzata inattività hanno costretto molti/molte a rivalutare la scelta casa/lavoro, e a decidere che non valeva la pena di cercare un posto a tutti i costi. O forse, l’abbrivio strutturale dell’occupazione femminile ha finito per dover fare i conti con i tanti ostacoli che rendono difficile alle donne di conciliare vita familiare e vita lavorativa, a partire dai problemi di mobilità e disponibilità di asili nido. In ogni caso, se vogliamo sfruttare quel giacimento, dobbiamo rimuovere le cause che hanno rallentato i guadagni dell’occupazione femminile.


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