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La manovra di finanza pubblica del Governo Meloni ha spaventato molti pensosi e morigerati commentatori, ma non ha preoccupato più di tanto né i mercati – che hanno ridotto lo spread con i Bund tedeschi – né le agenzie di rating, che hanno confermato i giudizi precedenti. I pensosi commentatori di cui sopra hanno concentrato i loro strali sul debito pubblico, il cui peso sul Pil non scende come loro auspicherebbero.

Se non scende è perché il peso, come il tango, ha due partner: il debito e il Pil. Ed è normale che, in tempi di bassa crescita, il debito stenti a scendere: dovrebbe, anzi, salire, dato che il bilancio pubblico dovrebbe andare in soccorso di una domanda privata che segna il passo. Il grafico (basato sulle ultime stime del Fondo monetario) mostra come il debito pubblico italiano segni il passo, quest’anno e il prossimo, né più né meno come l’insieme dei Paesi Ocse; mentre, al contrario, gli Stati Uniti, liberi dai pregiudizi teutonici (il famoso Schuld=debito=colpa), vedono un ulteriore aumento del peso del debito.

Né è opportuno criticare la manovra a causa del deficit, un deficit che rappresenta il ‘minimo sindacale’ che si potesse fare per sostenere l’economia. L’Italia, come l’Europa tutta, sta entrando in recessione, e, fra stabilizzatori automatici e misure discrezionali, il bilancio pubblico deve fare la sua parte per evitare una spirale depressiva. Confrontiamoci con gli altri Paesi: gli andamenti del bilancio devono essere traguardati attraverso la lente del saldo strutturale, cioè il saldo che si darebbe se l’economia stesse crescendo al suo livello potenziale – come la minestra di Riccioli d’Oro, né troppo calda né troppo fredda.

Ebbene, il grafico mostra il saldo strutturale dei bilanci pubblici (in percentuale del Pil potenziale) per l’Italia, l’America e l’insieme dei Paesi avanzati.

Il saldo strutturale del bilancio pubblico italiano mostra una risalita per il 2024: cioè a dire, la politica di bilancio è espansiva – supporta l’economia – come si conviene quando detta economia è prevista crescere solo di poco. Ma – ed è questo il punto più importante – il livello del saldo strutturale è migliore sia rispetto all’insieme delle economie avanzate che rispetto agli Stati Uniti.

Quid agendum, allora? La politica di bilancio deve continuare a sostenere l’economia. Sì, ci sono i soliti problemi di smantellamento di lacci e lacciuoli. E qui sia consentito un modesto suggerimento. Perché partire sempre dall’alto (top-down) e non dal basso (bottom-up)? La legge sulle semplificazioni – già vecchia di qualche anno – è un tipico esempio del metodo top-down.

Ma c’è un altro approccio. Sabino Cassese, sul Corriere della Sera, ci informò – già qualche anno fa – che per aprire una gelateria, «sono necessari fino a 73 adempimenti, con 26 enti diversi, e un costo di 13 mila euro, secondo un’accurata ricerca svolta dalla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa». Ecco un ‘compito a casa’ per il governo. Prendete quella ricerca della Confartigianato, elencate i 73 adempimenti per la gelateria, smontateli tutti ad uno ad uno, per vedere dove si possa abolire, semplificare, accorpare… Molte delle soluzioni trovate potranno poi automaticamente risolvere altre lungaggini valide per molte altre fattispecie. Partire dal basso, insomma…

Il Governo Meloni finora ha fatto molto ‘top-down’ e non abbastanza ‘bottom-up’. Eppure, le opportunità per agire le abbiamo in casa. Certo, sarebbe bello se l’Europa avviasse un grande programma di investimenti pubblici. Uno studio del Fondo monetario mette l’accento su questi investimenti. Dato che quelli privati sono paralizzati dall’incertezza, il Fondo calcola che devono essere gli investimenti pubblici a dare il ‘la’ alla ripresa. Le stime del Fondo sono clamorose: un miliardo in più di investimenti pubblici aumenta il Pil di 2,7 miliardi. E gli investimenti, specialmente quelli in opere pubbliche e costruzioni, sono ad alta intensità di lavoro.

Ma noi i nostri grandi programmi – come appena detto – li abbiamo già in casa. Si chiamano ‘Next Generation EU’, il famoso PNRR. E su questi investimenti siamo ancora in ritardo, come ci ricordano le analisi martellanti di Ercole Incalza sul “Quotidiano del Sud”.

Ecco la via d’uscita dalla recessione. ‘FATE PRESTO’ fu il titolo a caratteri cubitali che apparve, sulla prima pagina del Sole-24 Ore del 10 novembre 2011. Roberto Napoletano – allora direttore – spiegò la ragione di quel titolo leggendario, mentre lo spread saliva a 500 e infuriava la crisi da debiti sovrani. La situazione oggi è forse meno drammatica di allora, ma egualmente cruciale. ‘Fate presto’, insomma a passare dalle intenzioni agli stanziamenti, dagli stanziamenti agli impegni, dagli impegni ai bandi, dai bandi ai cantieri! L’Italia non può aspettare…


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