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La sede centrale della Banca d'Italia

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Per Bankitalia, il debito eccessivo compromette la competitività del Paese e nel prossimo triennio scenderà solo marginalmente

SI CHIUDE oggi, con l’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, la sessione di “esami” davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato per la manovra. E toccherà subito dopo al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, fare il punto sulle osservazioni e proposte raccolte, rispondere alle critiche sollevate, eventualmente fare una sintesi \ magari dar conto della disponibilità del governo a correggere il tiro sull’uno o l’altro provvedimento introdotto nell’articolato che non si può ancora considerare “chiuso”, dal momento che il governo – di fronte all’impegno “emendamenti zero” assunto dai partiti di maggioranza, non senza mugugni – sta lavorando ad alcuni correttivi, soprattutto sul fronte delle pensioni.

Se la “pagella” più temuta è sicuramente quella che arriverà venerdì, quando è atteso il verdetto di Moody’s sulla situazione del debito italiano e sulla capacità di risanarlo, ieri giudizi di “peso” sono arrivati, tra gli altri, da Bankitalia, Corte dei Conti, Cnel, Istat, Confindustria, Confcommercio, Anci, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. E proprio sul debito ha messo l’accento Bankitalia: secondo Bankitalia, infatti, «la decisione di attuare una manovra espansiva, associata a un piano di privatizzazioni – che si considera obiettivo ambizioso e difficile da raggiungere -, implica che il rapporto tra il debito pubblico e il Pil scenda solo marginalmente nel prossimo triennio».

«L’elevato livello del rapporto – spiega Andrea Brandolini, vicecapo dipartimento Economia e Statistica – è un elemento di vulnerabilità per il Paese; riduce gli spazi di manovra per fronteggiare eventuali shock avversi e alza il costo del debito anche per i prenditori privati, con effetti negativi sulla competitività dell’intera economia italiana». Il quadro è quello di un’economia debole, per il 2023 Palazzo Koch vede un Pil allo 0,7% per il 2023 e allo 0,8% per il 2024, inferiori alle stime del Governo, pur considerando lo 0,8% e l’1,2% previsti nella Nadef «ancora plausibili anche se più difficili da raggiungere, alla luce dei più recenti sviluppi internazionali», e comunque legati alla piena attuazione del Pnrr. Se ridurre il cuneo viene considerato «un obiettivo importante» – che associato alla sforbiciata alle aliquote Irpef per i redditi fino a 35mila euro aumenta il budget familiare di circa 600 euro annui (+1,5%) – il “consiglio” è quello di definire da subito «l’orientamento per il medio termine» per «evitare di dover ricorrere tra un anno a bruschi aumenti delle aliquote contributive o a nuovi scostamenti di bilancio». Se si decidesse, quindi, di rendere la misura permanente «andrebbero individuate coperture certe e strutturali». In questo caso, si avverte, bisogna considerare, che «tale riduzione degli oneri previdenziali a carico dei lavoratori modificherebbe il nesso tra contributi versati e benefici erogati alla base del sistema pensionistico contributivo, con conseguenze che andrebbero attentamente valutate».

Oltre al debito, Bankitalia punta il dito contro il taglio dell’Ace (Aiuto alla crescita economica), «in controtendenza rispetto alla Ue», che riduce l’incentivo agli investimenti e, secondo l’Istat, produce un aggravio d‘con l’Istat che stima un aggravio di’imopsta per il 26% delle imprese. Per la Corte dei Conti la manovra si muove su «un sentiero molto stretto» per via della necessità di tenere insieme il necessario riequilibrio dei conti pubblici e il rientro del debito con l’altrettanto necessario sostegno alle famiglie di fronte al carovita e degli investimenti per l’ammodernamento infrastrutturale del Paese, l’adeguamento degli stipendi pubblici senza innescare una spirale negativa prezzi-salari, il rafforzamento degli sistema sanitario e assistenziale e la garanzia di una maggiore flessibilità nelle scelte previdenziale. Un equilibrio, sostiene il presidente Guido Carlino, «esposto alle intemperie di una congiuntura economica e sociale difficile». Di fronte a una manovra considerata «complessivamente poco incisiva sotto il profilo di nuovi interventi a favore degli investimenti pubblici a portata generale», ma con un «forte sbilanciamento verso misure mirate a sostenere progetti specifici, primo fra tutti per peso finanziario, il Ponte sullo Stretto» – cui si affiancano «interventi minori, con impatti limitati sul sistema economico per via della spiccata localizzazione» -, «le prospettive di crescita del Paese appaiono rimesse fondamentalmente alla tempestiva e completa attuazione dei progetti inclusi nel Pnrr», dal momento che, è il rilevo, nella nuova programmazione di bilancio non ci sono «misure di stimolo altrettanto innovative e in grado di competere con il dispositivo europeo di ripresa e resilienza».

Un’accelerazione sul Pnrr, sulle riforme e sugli investimenti, chiede anche il Cnel, con il presidente Renato Brunetta che lamenta l’assenza di «una interazione strategica e sinergica» tra il piano e la legge di Bilancio che «avrebbe voluto dire migliorare la nostra credibilità» anche di fronte ai mercati, sostiene, ricordando “l’appuntamento” di venerdì con Moody’s sul rating. Nel complesso Brunetta giudica «sostanzialmente corrette» le scelte di fondo della legge di Bilancio, «anche se richiedono una conferma nel prosieguo coerente della conduzione della politica di bilancio», perché «non vi sono attualmente margini di bilancio per una politica espansiva anticiclica non destabilizzante che possano essere sfruttati per forzare la crescita, se non quelli offerti da una accelerazione degli investimenti e delle riforme finanziate dal Pnrr».

Sul fronte delle imprese, Confindustria, con in campo il presidente Carlo Bonomi, considera la manovra «ragionevole» nella misura in cui «concentra le poche risorse disponibili sulla riduzione nel 2024 del cuneo contributivo» – che tra taglio del cuneo (che secondo l’Istat interessa 12 milioni di famiglie) e dell’Irpef «tra i 9mila e i 35mila euro di reddito avrà un effetto benedico tra i 560 euro e i 1.400» -, ma «incompleta, vista la sostanziale assenza di misure a sostegno degli investimenti privati e soprattutto di una strategia finalizzata alla crescita – determinante per sostenere debito e welfare – ed alla competitività». «Su 30 miliardi di misure estensive della manovra – spiega – quasi al 55% sono dedicate ai lavoratori e solo il 9,4% alle imprese – afferma il leader degli industriali – Se poi facciamo la somma di quello che succede con la delega fiscale, siamo in presenza di una rarissima occasione dove una manovra espansiva toglie soldi al sistema produttivo. Sostanzialmente siamo in negativo di 1 miliardo». Per il leader degli industriali «non è più rinviabile un percorso favorevole alla crescita e all’aumento di produttività: bisogna introdurre subito provvedimenti di stimolo, cioè interventi lato offerta perché questa manovra è tutta basata sul lato domanda». Anche il presidente di Confindustria mette l’accento sul Pnrr, avvertendo della necessità di mantenere la destinazione del 40% dei fondi al Mezzogiorno che vede a rischio nel processo di revisione in atto.

Dal canto suo Confcommercio fa la conta dei danni provocati dalla corsa dei prezzi, che tra il 2021 e la prima parte del 2023 ha sottratto in media 17mila euro per nucleo familiare. Mentre sul piano dei consumi difficilmente si raggiungerà la crescita dell’1,3% stimata nella Nadef, che potrebbe arrivare giusto all’1%. Confcommercio plaude al taglio dell’Irpef e del cuneo, che chiede siano strutturali, all’investimento sul Ponte sullo Stretto, ma lamenta «la limitata accessibilità del credito d’imposta per il Mezzogiorno, 1,8 miliardi per il 2024: tanto da parte delle piccole imprese, per una soglia d’accesso costituita da investimenti di almeno 200.000 euro – argomenta il vicepresidente di Confcommercio, Giovanni Da Pozzo – quanto da parte degli operatori della logistica, poiché il valore degli immobili strumentali non dovrebbe eccedere il 50% del valore totale dell’investimento».


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