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C’E’ UNO spettro che si aggira sull’orizzonte delle politiche per lo sviluppo del Paese, quello di un ulteriore squilibrio fra le aree deboli come quelle del Sud, e quelle forti, ossia quelle del Nord: una sorta di sfida tra centralismo e federalismo. Il percorso dell’autonomia differenziata, infatti, insieme con la grande e positiva rivoluzione della Legge Fitto con la costituzione della Zes unica per tutto il Sud, rischia di spaccare letteralmente in due il Paese proprio su uno dei terreni dove la convergenza sarebbe più opportuna: quello della gestione degli incentivi e della crescita delle imprese e dell’occupazione.

Infatti, se l’autonomia differenziata, così come si configura nella mente del ministro Calderoli, andasse veramente in porto, si creerebbe una sorta di doppio binario. Da una parte ci sarebbero le regioni del Nord che, con il federalismo e il passaggio di alcune competenze, avrebbero mano libera anche sulla gestione delle politiche per lo sviluppo e, quindi, sugli incentivi; dall’altra, invece, le Regioni del Sud che, si vedrebbero ridurre i margini di autonomia con un centralismo, cioè l’istituzione della cabina di Regia centralizzata, che avrà proprio il compito di delineare le nuove politiche di sviluppo per il Sud e assicurare, finalmente, un uso efficiente delle risorse europee sulla base di una strategia globale. Come a dire, con una mano il governo “decentra” le funzioni e con l’altra le “accentra”. E questo al di là dell’efficacia dell’una o dell’altra strada.

Un fatto, però, è certo. La Zes unica, che da sola può attivare investimenti per oltre 83 miliardi di euro, ha come presupposto una forte centralizzazione delle funzioni con l’obiettivo di evitare che la spesa, soprattutto quella dei fondi comunitari, non solo resti nei cassetti della burocrazia ma si disperda nei mille rivoli dei favori e delle clientele locali. La legge Fitto, infatti, prevede una strategia di sviluppo economico-sociale (Piano strategico, con contenuti di politica industriale) elaborata da un singolo organismo, la cabina di regia, dotata della possibilità di utilizzare tutti i fondi a disposizione ed assistita dall’Unità di missione che potrà provvedere all’attuazione servendosi delle strutture disponibili (Ministeri, Enti locali, società in house) in un quadro di spesa coordinato dotato di obiettivi ed i cui risultati siano misurabili.

A monte di questo processo ci saranno gli “Accordi di coesione con Ministeri e Regioni”, ma anche in questo caso si tratterà di documenti necessari per costruire una politica di sviluppo coerente del Paese e del Mezzogiorno evitando la frammentazione anarchica e localistica degli interventi. Insieme al Piano strategico triennale per la Zes unica, gli accordi possono rappresentate un’occasione importante per animare una vera e propria “ politica industriale per il Sud”, superando lentezze, lungaggini e fallimenti verificatisi in lunghi anni di piani regionali e forme diverse di programmazione nazionale ed europea. Il filo conduttore della legge è, insomma, quello di “un maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo responsabili dell’intervento – si legge in un documento presentato recentemente a Napoli durante un convegno della Fondazione Mezzogiorno – attraverso la concentrazione a livello centrale dei luoghi decisionali ed attuativi, con l’obiettivo di valorizzare la complementarietà finanziaria e strategica tra le diverse programmazioni volte al riequilibrio territoriale (politica di coesione nazionale e comunitaria e PNRR)”.

Fin qui, tutto bene. Ma i problemi potrebbero nascere proprio con l’autonomia differenziata che, di fatto, dovrebbe aumentare i poteri dei Governatori rischiando, quindi, di vanificare uno degli obiettivi principali della riforma fortemente voluta dal ministro della Coesione. Con un ulteriore incognita, squisitamente giuridica: in che maniera sarà possibile conciliare l’attribuzione di nuove competenze alle amministrazioni settentrionali evitando di estendere le stesse funzioni a quelle meridionali. L’ennesimo pasticcio in salsa leghista che potrebbe causare un rallentamento di quelle politiche per lo sviluppo messe in campo dal governo e destinate alle aree meridionali che hanno, se non altro per ragioni storiche e geografiche, le maggiori potenzialità di crescita. Insomma, l’ennesima ragione per riflettere sulla necessità dell’autonomia differenziata.


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