Giancarlo Giorgetti
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La proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sulla questione legata ai dazi imposti dal presidente Usa Trump
La bufera economica provocata dai dazi di Donald Trump continua a sconvolgere la scena internazionale, in particolare in Italia, dove gli Stati Uniti rappresentano il terzo partner commerciale per importanza dopo Germania e Francia.
DAZI, LA PROPOSTA DI GIORGETTI
Anche per questo dal palco del Forum Teha di Cernobbio il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha lanciato la proposta di riattivare la sospensione del Patto di stabilità europeo per consentire ai Paesi membri di varare adeguati programmi di aiuti pubblici ai settori più colpiti dalle politiche protezioniste americane. Una misura già attuata durante la pandemia di Covid nel 2020.
«Il problema italiano, rispetto all’approccio di altri Paesi, è che noi partiamo da una situazione di bilancio in cui i nostri spazi sono profondamente diversi rispetto a quelli di altri» ha detto infatti il ministro citando la possibilità di invocare l’articolo 25 del Trattato dell’Unione Europea, che consente agli Stati membri di deviare dal percorso della spesa netta nel caso di una grave congiuntura negativa, a condizione che la sostenibilità di bilancio nel medio termine non ne risulti compromessa.
UNA VIA D’USCITA AI DAZI
Una via d’uscita, quella di chiedere eccezioni ai regolamenti comunitari, che fa il paio con la richiesta avanzata venerdì scorso dal premier Giorgia Meloni di valutare la sospensione del Green Deal europeo per poter assistere il settore dell’automotive in crisi.
LA LINEA DI SALVINI
Anche il vicepremier Matteo Salvini si trova del resto sulla stessa linea: «Da cambiare sono le politiche suicide dell’Unione europea: azzerare il Green Deal, azzerare la sbornia elettrica, azzerare il patto di stabilità, azzerare i danni fatti agli agricoltori, ai pescatori» è il grido lanciato dal ministro dei Trasporti all’apertura ieri del congresso della Lega a Firenze. Per il leader leghista la linea sulla crisi dei dazi è chiara: «La trattativa con gli Usa ci deve essere» ha detto prima di “intervistare” Elon Musk, intervenuto in video-collegamento all’assise fiorentina. Il padrone di Tesla, alleato chiave del presidente americano, ha espresso la speranza «che gli Usa e l’Europa riescano a creare un’alleanza più stretta e più forte, e che diventeremo in una zona di zero dazi in futuro, una zona di libero scambio tra l’Europa e il Nord America».
LO SCONQUASSO PROTEZIONISTA
Parole ben diverse da una realtà in cui lo sconquasso protezionista iniziato da Donald Trump sta impattando non soltanto sulle (già flebili) prospettive di crescita italiane, ma anche su quelle degli stessi Stati Uniti. Anche negli States infatti l’offensiva tariffaria lanciata dal tycoon sta sollevando più di qualche dubbio, al punto che secondo alcuni media americani il segretario del Tesoro Scott Bessent starebbe considerando di lasciare l’incarico. Per l’ex finanziere diventare il volto di una débâcle recessiva di proporzioni mondiali sarebbe infatti un danno reputazionale non indifferente. Meglio allora cercare un’uscita onorevole, magari per approdare alla guida della Federal Reserve, il cui presidente Jerome Powell non ha mai avuto un buon rapporto con Trump (che pure lo ha nominato nel 2018).
IL CONFLITTO TRA PRESIDENTE E BANCA CENTRALE
Oggi, nel pieno della bufera protezionista, non è detto che il conflitto tra il presidente e l’autorità indipendente della banca centrale non possa riaccendersi. «Questo sarebbe il momento perfetto di tagliare i tassi per il presidente della Fed Jerome Powell» aveva scritto venerdì Trump sul social, Truth, rispondendo indirettamente al presidente della Fed che aveva messo in guardia dall’aumento dell’inflazione provocato dai dazi.
LE MISURE DELLA CASA BIANCA
Le misure approvate dalla Casa Bianca infatti peseranno inevitabilmente sulle importazioni, provocando verosimilmente un aumento dei costi dei prodotti per i consumatori, una conseguenza a cui Trump vorrebbe mettere una pezza abbassando il costo del denaro attraverso il taglio dei tassi d’interesse. Per ora Powell ha glissato, ma è evidente che il sentore di una nuova spinta inflattiva – ancor prima della spinta in sé e per sé – sta già serpeggiando: nei giorni scorsi si è registrata infatti una forte impennata delle vendite negli States, con una corsa ai supermercati motivata dal desiderio di accaparrarsi scorte adeguate prima dei nuovi rincari.
IL CASO DELLE UOVA
È ancora fresco il ricordo della carenza delle uova di poche settimane fa, quando la combinazione tra un’inflazione già alta e l’epidemia di aviaria che ha colpito gli allevamenti di pollame negli Stati Uniti aveva provocato prezzi irricevibili. Costringendo la stessa amministrazione Trump a cercare disperatamente all’estero nuove fonti di approvvigionamento. Il caso delle uova è sintomatico della facilità con cui l’economia americana possa entrare in difficoltà, soprattutto a livello dei consumatori. Non a caso, Trump in persona ieri ha esortato a tenere duro: «Questa è una rivoluzione economica, e vinceremo. Tenetevi forte, non sarà facile, ma il risultato sarà storico» ha scritto nuovamente su Truth.
L’ALLARME DI TED CRUZ
Ma il Senatore texano Ted Cruz, storico alleato del presidente, ha già lanciato l’allarme: le prossime elezioni per i repubblicani rischiano di essere «un bagno di sangue» a causa dei danni economici apportati dai dazi trumpisti. Insomma, forse la rivoluzione non sarà un pranzo di gala ma meglio far trovare le uova in tavola agli americani, almeno in tempo per le prossime elezioni.
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