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Giuseppe Busia

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Il nodo delle stazioni appaltanti, perché ci fanno paura le nuove procedure e le tecniche innovative nel campo della spesa pubblica

Partiamo da un dato impossibile: entro il 1° gennaio 2024, 5 – 6 mila stazioni appaltanti dovranno disporre di piattaforme digitali certificate in grado di dialogare con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici governata da ANAC. Ad oggi, dopo una verificata indagine capillare ne ho trovate solo 8. Cosa succede dopo il 1° gennaio 2024 le stazioni prive di piattaforme non potranno bandire gare pubbliche; ricordo che in tale contesto rientrano anche le opere del PNRR.

Nasce spontaneo un interrogativo: colui che ha posto questo limite, o meglio, questa scadenza come mai pensava che in soli sei mesi 5 – 6 mila stazioni appaltanti potessero attrezzarsi con adeguate piattaforme digitali? Ora sicuramente ci sarà una soluzione tipica delle intelligenze italiane dell’ultima ora e cioè: per le opere del PNRR non sarà necessaria la piattaforma digitale. E questo è senza dubbio un assurdo paradosso: le piattaforme digitali erano state giustamente volute ed imposte proprio per le opere del PNRR.

Poi, sempre da vari comunicati stampa, apprendiamo che è in alto mare proprio la qualificazione delle stazioni appaltanti: delle circa 26.000 stazioni dovranno rimanere circa 5 – 6 mila (anche questo penso sia non un dato assurdo ma un chiaro e misurabile motivo della nostra incapacità a trasformare una intuizione progettuale in un cantiere e, soprattutto, la impossibilità di assistere all’avvio contestuale di più interventi). Faccio presente che proprio in questi giorni l’ANAC ha fatto sapere che finora hanno superato la qualificazione solo 3.222 stazioni.

SPESA PUBBLICA E NUOVE PROCEDURE, QUANTO CAMBIA LA DIGITALIZZAZIONE

D’altra parte il ricorso alla digitalizzazione cambia non solo l’intero sistema con cui il mondo imprenditoriale accedeva alle gare ma tutte le informazioni su una impresa saranno immediatamente consultabili e quindi sarà possibile conoscere casellario giudiziale, certificati antimafia, regolarità fiscale e contributiva. Non solo ma questi dati verranno aggiornati automaticamente dagli enti certificatori attraverso l’interoperabilità e, quindi, potranno essere consultati dalle stazioni appaltanti e riutilizzati in tutte le procedure di affidamento a cui uno stesso operatore economico partecipa.

Ed è davvero interessante la risposta data dal Presidente dell’ANAC Busia ad un giornalista che gli chiedeva “i numeri, in particolare le piattaforme, ci dicono che il percorso sta andando a rilento ci sarà una proroga?”; Busia ha precisato: “C’è ancora tempo prima della fine dell’anno e comunque il sistema prevede che, se una stazione appaltante non è sufficientemente digitalizzata può utilizzare le piattaforme disponibili presso altre stazioni appaltanti qualificate e con piattaforma certificata. Quel che noi abbiamo chiesto da subito è proprio questa possibilità di appoggiarsi ad altre piattaforme come quella gestita da Consip. E poi c’è il mercato che non escludo che si muova per aiutare gli enti in questo processo”.

Sicuramente troveranno una soluzione e sono convinto, come detto prima, che si ricorrerà ad un provvedimento che escluda da questo vincolo le opere del PNRR, ma colgo l’occasione per stigmatizzare la crassa incapacità di chi da oltre tre anni ha lanciato questa vera rivoluzione gestionale, questa obbligata e giustissima forma di trasparenza procedurale proprio nel comparto dei lavori pubblici e poi in tre anni non ha fatto praticamente nulla in attesa che fosse varato il Codice Appalti, in attesa di una data il 1° luglio 2023 in cui essere certi che le interessanti esigenze di digitalizzazione dei processi fossero benedetti da uno strumento come il Codice.

GLI STATI GENERALI DELL’ECONOMIA DEL 2020

Non posso a tale proposito non ricordare che nel mese di giugno del 2020 abbiamo tutti assistito al famoso lavoro degli Stati Generali dell’Economia coordinato da Vittorio Colao da cui tra gli obiettivi chiave è emersa proprio quella di una concreta e diffusa digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Ma, ripeto, dopo tre anni da tale interessante esperienza nessuno si è adoperato perché quelle indicazioni o quella denuncia delle rilevanti distanze presenti nel nostro Paese da livelli accettabili da un sistema adeguatamente digitalizzato e al tempo stesso l’impegno a costruire le condizioni di base per annullare tale tragica carenza.

Una criticità analoga la abbiamo, sempre nel comparto delle costruzioni con i ritardi accumulati dalle imprese e dalle società di ingegneria nell’uso del BIM (Building Information Model) Il BIM non è uno strumento, ma un processo che utilizza un modello contenente tutte le informazioni che riguardano l’intero ciclo di vita di un’opera, dal progetto alla costruzione, fino alla sua demolizione e dismissione. Con il BIM è possibile creare – più che una rappresentazione tridimensionale – un modello informativo – dinamico, interdisciplinare, condiviso e in continua evoluzione – che contiene dati su geometria, materiali, struttura portante, caratteristiche termiche e prestazioni energetiche, impianti, costi, sicurezza, manutenzione, ciclo di vita, demolizione, dismissione.
Alla base del BIM ci sono: la collaborazione tra le diverse figure interessate nelle diverse fasi del ciclo di vita di una struttura, la condivisione digitale dei dati e l’interoperabilità degli stessi.

SPESA PUBBLICA E NUOVE PROCEDURE, UNA RIVOLUZIONE CONCETTUALE

In realtà questa a mio avviso è una descrizione limitativa del prodotto, del “modello” perché siamo di fronte ad una vera rivoluzione concettuale delle nostre abitudini generazionali relative a ciò che finora abbiamo chiamato programmazione, pianificazione e progettazione. Sono infatti sette le aree tematiche che la nuova impostazione metodologica modifica sostanzialmente e la stessa produce una nuova interpretazione di tutti, dico tutti, gli approcci tradizionali; in particolare le sette aree sono: l’ambiente ed i vincoli culturali ed ambientali, la logistica, il rapporto con i fornitori, la collaudazione, la manutenzione, la sorpresa in fase di realizzazione, la possibilità di utilizzare lo strumento del “canone di disponibilità”.

Questo strumento è già obbligatorio per Legge per opere superiori ad una determinata soglia finanziaria e, questa la vera novità, il Codice degli Appalti all’articolo 43 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2025, le Stazioni Appaltanti e gli Enti Concedenti adottano il BIM per le opere di nuova costruzione e per gli interventi su costruzioni esistenti per un importo a base di gara superiore a 1 milione di Euro.

SPESA PUBBLICA E NUOVE PROCEDURE: SCELTE FATTE DA OLTRE 3 ANNI ANCORA NON APPLICATE

Come vedete siamo in presenza di scelte innovative e decisioni definite tre, forse quattro anni fa, ma ancora oggi lontane da una corretta e normale applicazione e questo effetto “tartaruga”, questa non disponibilità a cambiare con la digitalizzazione ed i nuovi sistemi informatici il mondo delle progettazioni e delle costruzioni, il mondo della sistematicità dei controlli nella realizzazione delle opere, dimostra che forse abbiamo sbagliato a calare dall’alto il processo riformatore e non abbiamo coinvolto dal basso tutti i soggetti coinvolti direttamente o indirettamente nel comparto della costruzione di una offerta infrastrutturale nuova dimostrando i vantaggi e le convenienze generate da questa “rivoluzione concettuale”.

Anche in questo caso l’ANCE, l’OICE e l’Ordine degli Ingegneri dovrebbero dare vita non solo a procedure didattiche e formative ma dovrebbero simulare in modo capillare le convenienze generate dalla applicazione di tali nuove logiche progettuali, realizzative e gestionali. Dobbiamo ammetterlo: abbiamo perso tre anni evitiamo di perdere altri anni anche perché la Unione Europea non accetterebbe né ulteriori proroghe, né ulteriori deroghe.


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