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Erica Stefani

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La “falsificatrice professionale” (non pentita) dei dati territoriali della spesa pubblica, che risponde al nome di Erika Stefani, ministro pro tempore degli Affari regionali, è uscita nervosa e sotto processo dal vertice politico dell’altra sera che ha cancellato il tema dell’autonomia dall’ordine del giorno del consiglio dei ministri. Riteniamo questo esito positivo per la tutela dell’integrità dell’Italia e il futuro dei suoi giovani, nell’interesse del Nord come del Sud, proseguire sulla strada dell’autonomia dei ricchi significherebbe impoverire tutti e rinunciare per sempre a un disegno ambizioso di crescita complessiva del Paese. 

Ci permettiamo di sottolineare, altresì, che l’esito negativo del vertice politico rappresenta un risultato importante per questo giornale che in assoluta solitudine, dal suo primo giorno di uscita, ha documentato lo scippo di Stato attuato da dieci anni in qua dalla “banda del buco” del Grande Partito del Nord e ha messo tutti in guardia dal rischio capitale di legittimare costituzionalmente questo scippo elevandolo, nel silenzio complice generale, al rango del più colossale furto della storia economica repubblicana. A proposito di silenzio generale, anche oggi proseguiamo con nomi, cognomi, volti di deputati e senatori eletti nelle circoscrizioni meridionali, sarà nostra cura sottolineare puntualmente il merito di chi esce dal letargo complice e l’infamia di chi, perseverando nel silenzio, tradisce quello che non può non essere il primo mandato ricevuto dai suoi elettori. 

Siamo viceversa dispiaciuti perché non vi è stata una formale richiesta di dimissioni alla ministra-Pinocchio Stefani, dovrebbe trarne lei le conseguenze, ma questa è una prassi poco in uso in Italia, sappiamo che serve una spinta dall’alto (anche se così continuando a rotolare può essere l’intero esecutivo). 

Nel frattempo ci chiediamo: ma come si può pensare che a gestire un processo così complesso, oltre che pesantemente deleterio, sia una ministra che ha barato in Parlamento sui numeri della spesa pubblica territoriale spacciando per dati complessivi quelli delle amministrazioni centrali, che sono un quarto del totale, e quindi dicendo che il Sud riceve molto più del Nord quando è vero l’esatto contrario in proporzioni gigantescamente superiori alla tendenza accreditata dalle sue chiacchiere parlamentari? Resta francamente un mistero perché tutto ciò sia possibile anche nel Paese del vaniloquio e dove tutti noi rischiamo di pagare un prezzo elevatissimo per eccesso di bullismo sovranista. 

Per capire fino in fondo di che cosa stiamo parlando e come sia politicamente doloso il comportamento della ministra Stefani, perché non potrà mai dire che non è stata avvisata, riproduciamo uno stralcio di quanto abbiamo pubblicato il dieci aprile, nel primo giorno di uscita del giornale. Eccolo: “Se avesse la compiacenza di consultare i dati Svimez – gli ultimi disponibili e gli unici che fanno fede – e di metterli a confronto con i dati ISTAT sulla demografia delle due aree del Paese, il ministro Stefani scoprirebbe che il Mezzogiorno ha una popolazione pari al 34,3% del totale nazionale e riceve il 28,3% della spesa pubblica allargata mentre il Centro-Nord ha una popolazione pari al 65,7% e incassa per un importo pari al 71,7% del totale della spesa. In pratica, si dà al Sud il 6% in meno di quello che gli spetta e al Nord il 6% in più di quello che la Costituzione ritiene che debba avere nonostante i dati del Mezzogiorno inglobino i fondi europei (quindi non del bilancio pubblico italiano) sui quali peraltro le classi dirigenti meridionali e nazionali danno una ulteriore dimostrazione della loro disarmante incapacità”. 

I numeri della nostra inchiesta, di cui c’è traccia lampante nella tac operata dai migliori tecnici della Ragioneria Generale dello Stato, della Corte dei Conti e dell’Istat, li avevamo preparati per lei, ministra Stefani, ma lei se ne è infischiata allora, e se ne infischia oggi. Abbiamo fatto cadere noi, così giovani e così piccolini, il tabù del Mezzogiorno imbuto della spesa pubblica italiana mentre scippatori professionali regalavano alle Regioni e ai Comuni ricchi del Nord il più clamoroso flusso di spesa pubblica assistenziale che la storia ricordi. E lei che fa? Invece di prendere atto e chiedere scusa, insiste ossessivamente sulla sua verità piena di falsità mentre in Parlamento si lavora a un’indagine conoscitiva (l’operazione verità chiesta da questo giornale) e ogni giorno che passa qualche istituzione tecnica della Repubblica italiana (ieri è stato il turno della Corte dei Conti) la randella parlando di “autonomia deleteria” che “fa crescere solo alcune regioni”. 

Ma davvero pensate, uso il plurale, perché questa volta non è sola a volerlo, che potete incrementare la cassa integrazione in Veneto e Lombardia e ridurla o addirittura farla sparire in Calabria, Campania, Basilicata? Ma davvero pensate che si possa legittimare il più clamoroso scippo di Stato – perpetrato per anni e di cui i giudici presumibilmente dovranno chiedere agli enti locali del Nord di restituire il maltolto – con relazioni improvvide, numeri sbagliati, alla chetichella, e magari per decreto? Se il bravissimo governatore Zaia vuole per il suo Veneto la secessione, si accomodi, ma lo faccia a spese sue, con il portafoglio dei suoi cittadini non con ciò che è stato rubato (e sempre più si vuole rubare) alle famiglie meridionali. Ci permettiamo di segnalare a Zaia che ci sono una trentina di Comuni veneti che hanno indetto un referendum per tagliare la corda e chiedere rifugio al Trentino e al Friuli.

Ma davvero vogliamo spaccare il Paese e condannare tutti alla povertà futura perché non ci bastano i privilegi che abbiamo e vogliamo quelli delle Regioni a statuto speciale? Questa sarebbe la vera ragione dell’autonomia differenziata? Forse sì, forse no. Forse sì per qualcuno, non per altri. Poco importa, a questo punto. Quello che conta è la consapevolezza, sempre più diffusa, che questa autonomia differenziata è la vergogna delle vergogne. Farebbe precipitare tutti in un abisso dal quale sarebbe impossibile rialzarsi. Abbiamo già molti problemi, evitiamo di crearcene di nuovi con le nostre mani. 


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