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Palazzo Chigi

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L’Europa e il mondo non aspettano l’Italia. È questa la prima immagine che i leader di partito impegnati nel rituale delle consultazioni presidenziali dovrebbero avere in mente. E questo perché, davvero, il quadro internazionale non è disposto a perdere tempo nell’osservare il nostro Paese avvitarsi nella sua ennesima crisi politica, preludio per una sicura crisi economica e sociale. È quasi superfluo ricordare come il nostro Paese abbia perduto la sua storica “rendita di posizione” frutto della sua collocazione geopolitica nello spazio della Guerra fredda. Può forse sembrare allo stesso modo ridondante rilevare come sia in atto una riconfigurazione degli equilibri globali, acceleratasi dalla metà degli anni Settanta.

Si è esaurito il mondo post-westfaliano, ma è anche in fase di avanzata archiviazione la risistematizzazione successiva al Secondo conflitto mondiale. Un sistema è tramontato ma non ne è emerso ancora uno al suo posto. In questa embrionale e caotica riconfigurazione, dimensione di politica interna e dimensione di politica internazionale si intrecciano come non mai e lo stesso vale per quella politica e quella economica.

Si vive in uno stato di tensione, nel quale ogni singolo caposaldo del modello liberal-democratico di matrice capitalistica è rimesso in discussione. Per queste e molte altre ragioni che proverò ad esporre, il prossimo capo del governo italiano non dovrebbe prescindere dal presentare un solido profilo europeo ed internazionale, come peraltro già argomentato anche ieri su queste colonne dal direttore Roberto Napoletano (LEGGI).

Come può collocarsi quella media potenza regionale che è sempre stata l’Italia post-bellica in questo contesto? Ripartendo dai suoi fondamentali e cioè dimensione regionale (Mediterraneo), dimensione continentale (europeismo rivisto e ripensato) e dimensione globale (centralità nei forum multilaterali G7, G20, FMI, ecc..) e cercando di ripensare tali assi portanti secondo le esigenze, impellenti, di questo avvio di XXI secolo. Brexit, bilancio 2021-2027 e ricostruzione del rapporto euro-atlantico sono passaggi decisivi che impegneranno la prossima Commissione e tutti partners europei nei mesi a venire.

Quale peso politico avrà l’Italia nella nuova Commissione, così come nella dimensione intergovernativa dei prossimi Consigli europei? G7 di Biarritz, a fine mese, e 74° sessione dell’Assemblea generale dell’Onu a metà settembre, saranno due momenti chiave per testare fino a che punto le tensioni tra Mosca e Washington (trattato Inf ma non solo), tra Washington e Pechino (dazi e Hong Kong), per non parlare del gioco sottile tra Mosca e Pechino (ancora trattato Inf ma anche rapporto con India e competizione inter-asiatica).

Come si sta muovendo il nostro Paese in questa nuova triangolazione globale, che ricorda da vicino gli anni Settanta dominati da H. Kissinger? E riguardo alla dimensione sud del processo di integrazione europea? Dal dialogo euro-arabo degli anni Settanta, passando per il Processo di Barcellona e per l’Unione del Mediterraneo, non sono certo mancati i tentativi nell’ultimo quarantennio. Dovrebbe toccare all’Italia ricordare quanto sia determinante riprendere questi temi, non fermandosi soltanto a quello della immigrazione, ma approfondendo anche quello della cooperazione allo sviluppo e quello della centralità dell’area mediterranea come nuovo ponte tra ciò che resta del mondo atlantico e ciò che sta rinascendo della dimensione asiatica.

Se si accettano come minimamente valide queste considerazioni, gli scenari appaiono due, uno strutturale e l’altro congiunturale. Da un lato si potrebbe finalmente innescare un’evoluzione, di certo complessa, ma potenzialmente risolutiva della lunga crisi che caratterizza il nostro Paese da inizio anni Novanta: la ricomposizione definitiva del quadro politico e di conseguenza delle sue forze politiche lungo l’asse apertura/chiusura.

Da una parte tutti coloro che credono nell’ipotesi che il nostro Paese possa tornare a svolgere un ruolo di primo piano a livello internazionale, scegliendo di immergersi nella dimensione globale, sfruttando le sue peculiarità. Dall’altra tutti coloro che ritengono necessario riproporre un nazionalismo protettivo ed assistenziale, nella convinzione che solo in questa maniera il Belpaese possa sottrarsi alle minacce della globalizzazione. Una chiara campagna elettorale lungo questo crinale dovrebbe portare poi alla guida del Paese una delle due opzioni. In fondo l’anno di governo giallo-verde, in questa prospettiva, potrebbe essere letto come il penultimo passo verso la chiarificazione definitiva.

Il secondo scenario parte dalla presa di coscienza della gravità dell’attuale congiuntura, per poi vedere offerta la guida del Paese ad una personalità di chiara fama internazionale, una sorta di garante dell’europeismo italiano in grado, con la sua autorevolezza, di collocarsi al centro delle principali dinamiche internazionali e allo stesso tempo di mettere in sicurezza il quadro economico-finanziario del Paese. In realtà questa seconda opzione potrebbe anche costituire il preludio per avviare quella ristrutturazione globale presentata sopra come ipotesi strutturale. Chi potrebbe farsi carico di questo intervento risolutivo congiunturale, con l’obiettivo poi di tramutarlo in svolta strutturale? I nomi di caratura internazionale non mancano, anche se Romano Prodi e Mario Draghi sembrano quelli che più assomigliano all’identikit sopra delineato.

Nello specifico del ragionamento non si tratta di valutare l’effettiva disponibilità dei due profili. La questione è prima di tutto metodologica. Riflettere attorno a questi due nomi significa aver compreso quanto sia determinante la dimensione internazionale della crisi italiana. Al di là delle condizioni dettate da Zingaretti, o dei timori di perdere le posizioni di potere appena conquistare dai 5 Stelle di Di Maio o del desiderio di andare alle urne di Salvini, a colpire è l’assenza di prospettive nel caotico dibattito in corso. Proprio ieri, parlando alla stampa internazionale in vista del vertice di Biarritz, Macron ha fotografato, con maliziosa semplicità, il quadro italiano. “L’Italia è un Paese amico e un grande popolo il cui destino è profondamente europeo. Merita un governo e dei dirigenti che siano all’altezza di queste aspettative”.

Chissà se, nonostante il francese non sia più una lingua così studiata in Italia, questo endorsement sia in grado di varcare le Alpi e raggiungere il nostro Paese.


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