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Angela Merkel con il francese Macron

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È nata l’Europa. Ha preso coscienza che non si può più smontare e ha pagato ai bottegai olandesi e austriaci il conto (poco frugale) che la storia riconosce ai disturbatori dell’ultima curva. La cancelliera Merkel ha fatto con Macron l’esatto contrario di quello che fece con Sarkozy. Nel primo caso con la benzina dell’austerità trasformò il cerino greco in un incendio che divampò in tutti i Paesi del Sud Europa ai quali “regalò” la seconda recessione e la deflazione. Si muovono lei e la pattuglia degli alleati frugali del Nord e, come in un giallo di Agatha Christie, mettono in scena un dramma vero che ricalca la storia dei dieci piccoli indiani. Prima tocca alla Grecia, poi all’Irlanda e al Portogallo. Puntuale arriva la volta della Spagna e, a seguire, la volta dell’Italia. Cadono Paesi come birilli sotto i colpi di una speculazione che si nutre, da un lato, degli errori rigoristi della Merkel e dei suoi alleati del Nord e, dall’altro, del calcolo miope del francese Sarkozy che sbaglia tutto in Libia e è terrorizzato dall’idea che, dopo l’Italia, possa toccare alla Francia e alle sue banche.

L’ex cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, esprime la sua così: la Grande Germania sta perdendo il senso della storia, del suo riscatto europeo e della solidarietà con i partner. A salvare l’euro, i Paesi del Sud e del Nord Europa, supplendo alla miopia politica e senza tradire il suo mandato, è l’epocale “‘whatever it takes” del presidente della Banca Centrale europea, Mario Draghi, che con queste tre parole diventa il Cavaliere bianco della Grande Crisi dei debiti sovrani e sancisce l’irreversibilità dell’euro. Questa è la storia di ieri.

Quella di oggi è il racconto della nuova consapevolezza della cancelliera Merkel non della comunità tedesca e non dei Capi di Stato e di governo della corona del Nord. Figlia di una Brexit incompiuta inglese che ha fatto capire molte cose e delle macerie della Grande Depressione mondiale causata dalla Pandemia Covid 19.

Promossa e condivisa questa consapevolezza dal Capo di Stato della Francia, Macron, che ha lo stesso terrore di Sarkozy e, cioè, che oggi come allora il grande malato italiano possa contagiare la Francia, ma a differenza del suo predecessore non sbaglia medicine e cura. Diciamo le cose come stanno. I piccoli uomini al crocevia della storia fanno quello che sono e hanno anche una squadra di analisti pronti a incensarli come vincitori perché tra la trave (la storia che avanza) e la pagliuzza (i soldi incassati) scelgono sempre di vedere solo la seconda. Non riescono a vedere, proprio non ce la fanno, il cambiamento radicale della Germania che spiazza i suoi tradizionali alleati perché ha finalmente capito che senza emettere titoli comuni e senza fare una scelta fortemente espansiva e solidaristica si ritroverebbe alla guida di una sfilza di rovine.

Il progetto politico dell’accordo sul Recovery Fund è quello di un’Europa forte che è finalmente consapevole che può esistere solo così perché altrimenti si dissolverebbe. L’Europa politica degli Stati è frutto di una chiusura con il passato dei piccoli aggiustamenti e delle mille furberie che hanno consegnato il Mediterraneo a turchi e egiziani e hanno visto crescere il peso della Russia a discapito dei Paesi del Sud e del Nord del Vecchio Continente. In questa Europa nuova l’Italia non ha sfigurato e lo deve al suo Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha rivelato doti indubbie di negoziatore ma anche competenza e disegno strategico. Di ciò è bene rendere atto perché il gioco italiano di svilire qualunque risultato raggiunto vorremmo che appartenesse all’Europa dei miopi egoismi che è uscita sconfitta dal vertice di Bruxelles. Detto questo abbiamo il dovere di avvertire il Presidente Conte che se non riesce a dotarsi di strutture esecutive capaci di fare programmi e di realizzarli e di una squadra di ministri di spesa all’altezza (alcuni come la De Micheli sono davvero inadeguati) rischia di essere sepolto sotto una montagna di soldi. Deve ricordarsi che gli uomini su cui oggi può fare affidamento sono quelli che si sono visti assegnare 54 miliardi di euro nel 2014 e che in sei anni ne hanno spesi appena 5. In queste condizioni è come mettere la testa sotto la ghigliottina.

Lei presidente Conte esce da questa maratona europea della storia con la stessa cassa cosiddetta a fondo perduto con cui è entrato e porta invece a casa diverse decine di miliardi in più di prestiti vantaggiosi di lunga durata dovuti alla crisi strutturale dell’economia italiana che è sempre in coda in tutte le classifiche.

Ci danno di più perché siamo quelli che abbiamo più bisogno. Proprio per questo siamo quelli che dobbiamo commettere meno errori degli altri. Parliamoci chiaro. L’Europa politica nata ieri a Bruxelles consentirà al Consiglio europeo di mettere becco nelle nostre scelte e di valutare le nostre capacità progettuali e realizzative. Non è passata l’unanimità, grazie anche alla sua azione determinata, e quindi non c’è il potere di veto olandese, ma è chiaro a tutti che gli occhi saranno puntati solo su di noi. Questa volta l’interesse esterno coincide con quello interno. Noi usciremo dalla Grande Depressione mondiale solo se saremo capaci di fare le cose che diciamo di fare. La riforma della giustizia tutta e della macchina pubblica sono una priorità assoluta. Mettere al centro degli investimenti pubblici infrastrutture di sviluppo materiali e digitali nel Mezzogiorno e nelle aree interne del Nord è una priorità assoluta. Si prenda tutte le libertà che può prendersi e non si dimentichi di coinvolgere al massimo possibile l’opposizione responsabile. Si rivolga anche a quelle sovraniste in maniera leale e trasparente, noi purtroppo su questo aiuto non facciamo molto affidamento.

Presidente Conte, soprattutto, si ricordi che da qui a qualche mese verrà giudicato per quello che il suo governo è stato capace di fare non per quello che è riuscito a strappare come aiuti e prestiti in sede europea. È nata l’Europa, noi vorremmo che nascesse un’altra Italia. Abbiamo il dovere di farle presente che servono più competenza e meno ideologia utilizzando tutte le leve disponibili, a partire da quelle del Mes, che possono funzionare da “ascensore” e consentire di non svenarsi con decine di miliardi del proprio bilancio per fare investimenti nella sanità pubblica, e mettendo mano seriamente alla squadra di governo. In casa non basta più mediare e arbitrare, bisogna fare. È nata l’Europa, diciamo che è diventata adulta, ha superato la prova della maturità. La Merkel ha compreso la lezione della storia. Speriamo che la comprenda anche l’Italia.


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