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Carlo Cottarelli

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I Cpt sono conti di cassa e riguardano la spesa di tutto ciò che viene effettivamente speso in Italia, non all’estero, che è territorialmente ripartibile. I conti dell’Istat sono invece conti di competenza secondo il nuovo sistema europeo. Se è necessario facciamo tutti i raccordi opportuni ma evitiamo di farci del male alimentando un rischio Grecia sui conti italiani che non sta né in cielo né in terra. Occupiamoci piuttosto del divario di spesa abnorme tra Nord e Sud che non risponde al divario di bisogni

Ho ricevuto un po’ di anni fa da direttore del Sole 24 Ore nella mia stanza a Milano Carlo Cottarelli. Persona che stimo. Cito questo episodio perché la sensazione che ebbi allora dopo quell’incontro è la stessa che ho provato venerdì sera in uno scambio a distanza di vedute tra Napoli e Milano durante la trasmissione di Rai3 Titolo V. Ho risentito la stessa identica intelligenza “assiomatica” che mi lasciò allora e mi lascia adesso perplesso. Pensavo che il fallimento dell’esperienza di commissario alla Spending Review, un danno per il Paese dovuto non a lui ma alla cattiva politica anche se forse l’operazione cieli bui l’ha aiutata, e la meritoria opera svolta come divulgatore dell’economia avessero modificato questo approccio. Purtroppo non è così.

Prima di venire ai fatti scusate il lungo preambolo che segue, ma è necessario per capire di che cosa parliamo. Tema della discussione sono i 60 miliardi di spesa pubblica allargata (dati CPT) che ogni anno il Mezzogiorno riceve in meno e il Centro-Nord riceve in più, ovviamente per entrambe rispetto alla popolazione. A volere i Conti Pubblici Territoriali (CPT) della Repubblica italiana fu Carlo Azeglio Ciampi convinto come era che, dopo l’istituzione delle Regioni, era necessario controllare la spesa effettiva di tutti i soggetti sul territorio (di qui allargata) e, cioè, non più solo di ministeri, ma anche di Regioni, province, comuni e di tutti gli enti e/o società di spesa a controllo pubblico. Incrociando i dati dei conti pubblici territoriali sulla ripartizione della spesa pubblica allargata e le rilevazioni dell’Istat sulla popolazione e sul prodotto interno lordo si arriva alla conclusione inequivoca che al 34,2% della popolazione meridionale va il 28% della spesa pubblica allargata. Balla, dunque, il 6,2% che vale 64,5 miliardi (ultimo aggiornamento2018). Riguardano la sanità, la scuola, la mobilità, i treni veloci, la rete della fibra. Riguardano la redistribuzione di una spesa previdenziale che attinge a piene mani alla fiscalità generale per finanziare il privilegio delle pensioni di anzianità del Nord sottraendo risorse pubbliche per investire sul capitale umano dei giovani di talento del Sud. Pesano gli interessi anche loro territorialmente redistributivi pagati a chi ha in tasca i titoli del debito pubblico italiano e il finanziamento delle attività finanziarie pro-cicliche ai fini dello sviluppo dei singoli territori. Sono in gioco i diritti di cittadinanza violati della spesa sociale e della spesa infrastrutturale.

Su tali numeri questo giornale e la Svimez, con il suo presidente Adriano Giannola, hanno condotto una campagna documentale che non ha propositi risarcitori ma piuttosto quelli di evidenziare che tale anomala distribuzione della spesa pubblica sociale e infrastrutturale è la prima causa del problema competitivo italiano perché ha privato venti milioni di persone di un contesto favorevole allo sviluppo e ne ha depresso il reddito.

Non c’è relazione della Corte dei Conti sulla finanza pubblica che non segnali questa sperequazione. Non c’è relazione tecnica della Ragioneria Generale dello Stato che non faccia altrettanto. È chiaro a tutti che l’origine è l’uso distorto del criterio della spesa storica e la mancata attuazione della legge Calderoli sul federalismo fiscale del 2009. Dopo la nostra inchiesta giornalistica si è aperta una commissione di indagine parlamentare presieduta da Carla Ruocco proprio su questi punti e il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, ha sottolineato che i miliardi che ballano sono più di sessanta e che occorre fare ripartire il riequilibrio dalla spesa infrastrutturale. Tutte queste analisi tecniche ai massimi livelli e tutte queste prese di posizione avvenute nelle sedi istituzionali per Carlo Cottarelli non valgono (quasi) niente perché “il problema principale è che questi dati sono costituiti dai conti pubblici territoriali che sono preparati da questo ente che è l’agenzia della coesione. Il problema è che se si sommano questi dati non tornano i dati nazionali dell’Istat, cioè i totali della spesa o delle entrate non tornano per niente ma per differenze di 50/60 miliardi all’anno. Il fatto che ci sia questa cosa suggerisce che questi numeri sono un po’ strani.”

Se ho ben capito io, che ho immediatamente controreplicato, e chiunque abbia ascoltato da casa, si evince dalle parole di Cottarelli che un pezzo della statistica nazionale(Cpt) dà numeri non veritieri e/o non omogenei o, peggio ancora, non è il pensiero di Cottarelli, addirittura lo fa un pezzo della contabilità nazionale (Istat) che segue in tutto e per tutto i criteri europei. L’esperienza ci ha insegnato a essere guardinghi su tutto, ma non può sfuggire a nessuno la gravità di simili affermazioni. Anche perché ignorano che i Cpt sono conti di cassa e riguardano la spesa di tutto ciò che viene effettivamente speso in Italia e non all’estero e di tutto ciò che è territorialmente ripartibile. Così come ignorano che i conti dell’Istat sono invece conti di competenza secondo Sec 2010 che è il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali. I conti pubblici territoriali trattano separatamente entrate e spese, il saldo che viene fuori non ha alcun significato. Perché Cpt e i loro statistici – che sono tra i migliori in Italia – leggono i bilanci e lo fanno insieme all’Istat in modo trasparente sapendo che l’Istat non fa questo tipo di analisi empiriche perché Sec non glielo chiede mentre esige da loro stime e altre valutazioni totalmente estranee a Cpt.

Cottarelli non critica l’Istat ma Cpt che fa quel pezzo di lavoro in più sul campo che è prezioso per capire dove, quanto e come arrivano i soldi pubblici sul territorio. I dati delle due istituzioni rispondono a esigenze diverse e fanno lavori diversi. Devono ovviamente essere raccordati tra di loro ma questo nulla toglie alla sostanza del problema che è uno solo: un divario di spesa abnorme che non risponde al divario di bisogni. Ho detto sostanzialmente questo e, solo a titolo di esempio, perché tutti potessero capire a casa ho detto che i Cpt non rilevano le spese sostenute dal bilancio nazionale per le ambasciate e le spese all’estero perché non rilevano ai fini territoriali. Vi ripropongo la replica di Cottarelli: “(…) il punto è che non si può dire che non tornano i conti perché ci sono le ambasciate all’estero, non tornano i conti per 60 miliardi all’anno che non sono il costo delle ambasciate all’estero o di qualche altra cosa. È che i conti territoriali non sono fatti con gli stessi standard riconosciuti internazionalmente che vengono invece seguiti dall’Eurostat che vengono seguiti dall’Istat. Il fatto che se sommiamo insieme i conti delle varie regioni viene fuori per esempio che noi abbiamo un avanzo primario del 5% e passa del pil mentre siamo all’1% del pil se quelli fossero giusti non si capisce perché avremmo un problema di debito pubblico per esempio, (…) Quindi sinceramente ci deve essere uno sforzo fondamentale tra l’istat e l’agenzia della coesione di trovare un accordo tra questi numeri, hanno fatto un documento che alla fine conclude non siamo in grado di capire, sì ci sono finalità diverse ma le finalità diverse non possono spiegare il fatto, i conti devono tornare insomma.”

Quindi per Cottarelli i conti non tornano e dire come se niente fosse che ballano sessanta miliardi a me fa impressione. Siccome non mi è stato consentito di replicare ve lo spiego qui perché siano chiari a tutti i termini della questione. Primo, se esistessero falle di tali dimensioni e contraddizioni così marcate tra contabilità nazionale e statistica nazionale territoriale vorrebbe dire che in Italia abbiamo qualcosa che assomiglia a un problema Grecia e solo porre il problema significa evocare prospettive terribili. Secondo, parlare sempre di 60 miliardi come fosse una specie di nuovo numero magico confonde totalmente i piani. L’oggetto della discussione sono i miliardi di spesa pubblica che ballano tra Nord e Sud non quelli che potrebbero essere di più o di meno senza cambiare i termini della questione tra Istat e Cpt che fanno mestieri diversi e rilevano grandezze differenti. Terzo, perché tutto nasce da una evidente, apparentemente incomprensibile, volontà di ignorare i fatti e le regole che disciplinano quei fatti separatamente e tra di loro. Entriamo ora più nei dettagli.

A) Ironizzare sulle spese all’estero non fa onore alla cultura di Stato e al valore dell’economista Cottarelli. Perché non si tratta di bazzecole. Sono in ballo complessivamente 20/22 miliardi tra risorse proprie che versiamo alla Unione Europea, all’Onu, all’Unesco e in tutti gli organismi internazionali, le spese sostenute all’estero da ambasciate, istituti vari di cultura e altro, gli uffici dell’Ice e tante micro poste di bilancio che riguardano gli acquisti di questo o quell’ente, di un servizio fatto all’estero, di personale pagato all’estero. A questi si aggiungono altri due miliardi di trasferimenti all’estero. Non sono bazzecole e, soprattutto, non sono bazzecole che si possono spalmare tra un territorio e l’altro perché sono spese che avvengono fuori dai confini nazionali. È giusto che l’Istat le rilevi e che i Cpt non le rilevino.

B) La ricerca autoprodotta dai ministeri che riguarda un software, ad esempio, del ministero dell’economia non è rilevata nei conti Cpt perché non è quantificata su un bilancio tanto è vero che lo fa l’Istat e lo fa perché glielo chiede Sec indicandola come stima. È una stima che l’Istat mette autorevolmente in entrata e in uscita, Cpt d’accordo con Istat non lo fa perché ragiona su bilanci, sulle spese avvenute non su quelle stimate. Questo tipo di operazioni valgono 10 miliardi.

C) Che cosa facciamo con la Difesa? Quanto impatta sulla spesa per investimenti e quanto impatta sulla spesa corrente? Quanto di questa spesa effettiva è calcolabile territorialmente? Se ci sono aggiornamenti da fare nei criteri, anche qui ballano miliardi, è bene che entrambe le istituzioni contabili lo facciano.

D) Che cosa succede con il consolidamento degli oneri sociali? Quanto paga direttamente lo Stato, a chi e dove? Che cosa facciamo con le spese che una holding definirebbe intercompany e che riguardano gli oneri sociali sostenuti direttamente per le pensioni dei dipendenti degli enti previdenziali? Anche qui, come vedete, confini difficili ma riscontrabili nella diversità

E) Gli stipendi dei pubblici dipendenti sono pagati tutti a Roma e tutti a Chieti ma poi i bonifici vanno distribuiti sul territorio. Che facciamo? Dove sono andate a finire questa e quella risorsa?

Potremmo continuare, ma come capite bene le poste oggetto di analisi e reportistica differenziate sono tante. Non è questo ballo di decine di miliardi se ben raccordati di comune accordo che deve spaventare, ma il ballo di decine di miliardi che riguarda una spesa sociale e infrastrutturale non equamente ripartita. Che non vuol dire assolvere le classi dirigenti meridionali per il cattivo uso che hanno fatto delle risorse ricevute ancora in rilevanti quantità dopo gli anni del miracolo economico italiano e il decennio successivo e il silenzio complice delle stagioni più recenti. La diatriba tra Istat e Cpt, costruita tutta fuori e contro la volontà delle due istituzioni, potremmo spiegarla così. Riguarda acqua, farina e sale, dimenticando che con quegli stessi ingredienti si può fare il pane o la pizza bianca. Discorso totalmente diverso riguarda i cosiddetti residui fiscali che la dottrina comune ritiene che in una nazione possano essere solo individuali mai territoriali. Porto un solo esempio: Intesa SanPaolo paga le tasse in Piemonte perché lì ha la sede legale, sfido chiunque a dire che quel gettito erariale sia il frutto del lavoro esclusivo dei piemontesi e non del lavoro nazionale e internazionale della prima banca italiana e tra le primissime in Europa. Così come, in questo ha ragione Cottarelli, i divari di reddito e di contributo al gettito non possono non risentire dell’andamento dell’economia nei singoli territori. Questi sono i fatti.

Vogliamo, in chiusura, dire che sarebbe buona cosa prendere comunque in positivo la provocazione di Cottarelli a patto che sia epurata dal rischio Grecia. Si facciano, se necessari, gli ulteriori aggiustamenti sulle due contabilità, sui punti di contatto e sulle differenze, evitando strumentalizzazioni. A noi interessa il lato della spesa e degli investimenti per provare a riunire finalmente le due Italie nell’interesse reciproco, non divagazioni ideologiche di ogni tipo nell’interpretazione dei numeri. Anzi, siamo contenti che anche all’interno della polemica il tema decisivo della sperequazione della spesa da sanare abbia preso corpo. Partire da questa operazione verità è un punto irrinunciabile.


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